Conclusione MEETING2009 “la conoscenza è sempre un avvenimento”
La conoscenza è riducibile ad un’interpretazione arbitraria, ad una “costruzione” del soggetto? Deve essere intesa nell’esclusivo senso della – presunta “obbiettiva” – conoscenza scientifica? Oppure sarebbe piuttosto «un incontro tra una energia umana e una presenza» e dunque sempre un avvenimento, che accade in modalità e figure diverse tra loro e comporta costitutivamente un elemento irriducibile di alterità?
La settimana riminese è stata un susseguirsi di testimoni, nuovi o noti: Amparito dell’Ecuador, gli amici del Rione Sanità di Napoli e Josè Berdini di Corridonia, padre Aldo Trento del Paraguay, Marcos e Cleuza Zerbini di San Paolo del Brasile, Rose e Vicky di Kampala, i carcerati di Padova.
E ancora, abbiamo ascoltato personalità del mondo culturale come Mary Ann Glendon, che ha introdotto il tema della “esperienza elementare” come radice dei diritti umani.
Filosofi come Remi Brague e Fabrice Hadjadj, e premi Nobel e scienziati come John Mather, Charles Townes e Yves Coppens hanno mostrato che cosa significhi “allargare la ragione”.
[Pagina senza pretese di esaustività o imparzialità, modificata 07/01/2024; col colore grigio distinguo i miei commenti rispetto al testo attinto da altri]
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↑2009.09.01 traggo da <Avvenire>
Lambiasi: «Un Meeting aperto che fa bene a tutta la Chiesa» Avvenire 01/09/2009
Il giudizio sui trent’anni di questa kermesse: «Apertura, approfondimento e gratuità sono le grandi intuizioni di questo appuntamento» Poi, una provocazione diretta ai laici: «Dov’è finita la fraternità, che faceva parte del trinomio della Rivoluzione francese, mentre ora vediamo nei clandestini solo un problema di sicurezza?» «Il dialogo con i non credenti è più difficile, ma non meno necessario. Dobbiamo mostrare un atteggiamento di limpida gratuità, mosso dalla verità della carità. Noi vogliamo dialogare perché 'amiamo quelli che non credono', come è scritto nella gerenza di Avvenire. Possibile che non si riesca e che ci si autocondanni alla rissa e al pettegolezzo?»
Il vescovo di Rimini Lambiasi: il riavvicinamento tra Cl e Azione cattolica è dentro un processo di comunione che avanza
DAL NOSTRO INVIATO A RIMINI PAOLO VIANA
Ventiquattro agosto 2004, ore undici: ultimo passo del riavvicinamento tra l’Azione Cattolica e Comunione e Liberazione. Paola Bignardi entra nel salone più grande della Fiera di Rimini e sono applausi. Quell’anno il Meeting compie 25 anni, Cl cinquanta. La presidente di Ac annuncia «un percorso nuovo di comunione e convergenza di tutte le aggregazioni ecclesiali» ; Giancarlo Cesana, che siede a fianco del segretario generale della Cei, monsignor Giuseppe Betori, annuisce. Ad accompagnare la Bignardi quel giorno c’è l’assistente generale dell’associazione ecclesiale, monsignor Francesco Lambiasi: da due anni è vescovo a Rimini e non ha smesso di credere in quella comunione né di incoraggiare quella convergenza. Oggi auspica che il Meeting rimanga aperto a tutte le associazioni e ai movimenti del mondo cattolico.
Trent’anni di Meeting di Rimini, ma anche trent’anni di Meeting a Rimini: cos’ha dato questa manifestazione alla diocesi?
Il Meeting è una risorsa per Rimini e per tutta la chiesa locale, perché crea fermento, permette ai nostri giovani - e non solo - di affacciarsi sul mondo, sulla cultura, sulla politica; stimola un’interpretazione cristiana della contemporaneità e il confronto con le altre culture. Questa manifestazione ha avuto - ed ha tutt’ora - un indubbio feed- back sul territorio e dei riflessi sulla pastorale ordinaria, ad esempio attraverso la Consulta per l’apostolato dei laici e il Servizio per il progetto culturale. Se poi ripenso alla mostra sul beato Marvelli, che molti hanno potuto vedere due settimane prima della sua beatificazione a Loreto, mi convinco che anche la nostra diocesi, la quale ha un laicato di grande spessore e parrocchie vitali, ha dato molto al Meeting. Un esempio per tutti: don Oreste Benzi, cui è stata dedicata una delle mostre di quest’edizione.
Torniamo a quel 24 agosto che ha scatenato mille interpretazioni. È davvero caduto un muro, come scrissero i giornali?
Quelle furono appunto delle semplificazioni; la realtà è racchiusa nelle parole pronunciate da Paola Bignardi: comunione e convergenza. Quell’incontro fu il traguardo di un cammino, di un reciproco sforzo di attenzione invocato da molti e iniziato in modo sostanziale con il Giubileo del 2000. Non vorrei però che si pensasse che tutto inizia o finisce semplicemente con una data. L’Ac ha un radicamento forte nelle parrocchie, ma oggi è urgente un’integrazione tra le diverse realtà ecclesiali. Questo significa, per la nostra diocesi, che le associazioni e i movimenti possono dare molto di più alla Chiesa e alla città se accelerano l’andatura sulla strada di una comunione sempre più intensa attorno all’essenziale e di una convergenza sempre più concreta nell’ambito dell’unica Chiesa diocesana.
Qual è la parte di Comunione e Liberazione in questo disegno?
Il Meeting porta con sé tre grandi intuizioni: l’apertura al mondo, cioè la disponibilità ad accogliere ed ascoltare chi non la pensa come te; l’approfondimento delle riflessioni condotte negli incontri, nelle mostre, negli spettacoli; infine, la gratuità con cui i volontari si spendono per la riuscita dell’evento. Questi tre valori del Meeting sono un patrimonio per tutta la Chiesa.
Non sono un patrimonio per tutti, ' laici' compresi?
È il nostro auspicio. Anzi, domando ai 'laici': di fronte a quest’esplosione di gratuità non si sentono provocati? La gratuità appartiene al vocabolario della fraternità. Ecco: dov’è finita la fraternità, che faceva parte del trinomio della Rivoluzione francese e ora sembra cancellata da una cultura a dominanza individualista che, ad esempio, vede nei clandestini solo un problema di sicurezza? Credo che noi tutti dobbiamo recuperare il valore della gratuità: se la giustizia guarda ai diritti degli altri e la solidarietà ai nostri doveri, la gratuità risponde ai bisogni dei poveri. I ragazzi del Meeting ci hanno dato anche quest’anno un grande insegnamento su questo terreno, una lezione valida anche per i nostri politici che discutono su molte cose ma non sembrano intendersi su nulla e non riescono ancora ad avviare il processo riformatore.
Il Meeting può contribuire ad annodare i fili di questo dialogo?
Certamente, anche nella Chiesa. Il processo del Giubileo del Duemila non si è fermato e mi sento di incoraggiare gli organizzatori del Meeting a continuare sulla strada intrapresa. Mi piacerebbe vedere più presenti gli esponenti di altre aggregazioni laicali, facendo incontrare a Rimini le diverse sensibilità del mondo cattolico. Il momento è difficile per la Chiesa come per la società e noi cattolici dobbiamo (e possiamo) 'fare più squadra', per aprirci con chiarezza e serenità al dialogo con i laici.
È possibile il dialogo tra credenti e non credenti?
Oggi il dialogo con i ' laici' – nel senso di non credenti – è più difficile, ma non meno necessario. Noi credenti dobbiamo mostrare nel dialogo un atteggiamento di limpida gratuità, e cioè che siamo mossi dalla verità della carità. Insomma, noi vogliamo dialogare perché ' amiamo quelli che non credono', come è scritto nella gerenza del ' nostro' Avvenire. Così possiamo esercitare anche la carità della verità, e porci insieme delle domande precise. Tutti diciamo di credere nella ' fraternità'; gli immigrati, i clandestini, li vediamo come pericolo, come problema, come merce- lavoro o come persone, come fratelli? Possibile che non si riesca a dialogare su questi temi e che ci si autocondanni alla rissa e al pettegolezzo? È chiaro: il dialogo non è un idillio, e il dibattito politico prevede anche la dialettica. La dialettica, non la polemica. Perché la dialettica è il sale della democrazia, la polemica è il suo veleno.
Aldo Cazzullo martedì 1 settembre 2009
«Devo fare una premessa: le altre volte leggevo del Meeting senza esserci, mentre quest’anno sono rimasto dal primo all’ultimo giorno». “Rimini Rimini” era il titolo della rubrica quotidiana di Aldo Cazzullo, dei trent’anni che si è concluso sabato scorso. «La trasversalità di Cl è tale - ha scritto Cazzullo il 25 agosto - che c’è sempre, in qualunque campo, un ciellino influente o un uomo vicino a Cl in grado di portare a Rimini il meglio del proprio mondo». Difficile dargli torto, se gli organizzatori sono riusciti a portarvi perfino Ennio Morricone. Ilsussidiario.net ha raggiunto Cazzullo per un breve scambio di battute sulla kermesse riminese.
Cosa l’ha più colpita del Meeting di quest’anno?
Innanzitutto per me era la prima volta. Sono rimasto sorpreso dall’efficienza “asburgica”, veramente rara per una manifestazione organizzata da italiani. Efficienza coniugata però con l’ospitalità, il calore e l’umanità dei volontari. E poi l’evento in sé: non credo che esista oggi un’associazione in grado di richiamare 3700 volontari che prendono le ferie per lavorare gratis. Nessun partito politico e nessuna azienda sarebbe in grado di mobilitare un numero tale di persone.
Quali sono, a suo avviso, le radici profonde di questa mobilitazione e di questo entusiasmo?
Vede, la mia idea è che questo enorme successo di Cl nasca anche come antidoto rispetto al male della mia generazione, quella dei quarantenni. Noi ci siamo affacciati alla vita pubblica nel 1980, quando finiva tutto, quando finiva la politica di strada e di piazza che tanti guai aveva fatto e che era stata l’ultimo momento in cui i giovani italiani avevano pensato che si potesse essere felici soltanto tutti assieme. Cominciava allora la ritirata nel privato, il cosiddetto riflusso. “Torna a casa in tutta fretta, c’è un Biscione che t’aspetta” non era soltanto il fortunato slogan della nascente tv privata, ma lo spirito del tempo. Un tempo in cui ognuno di noi si è sentito solo.
E qui è arrivata Cl?
Ecco, secondo me Cl è stato uno dei pochissimi segni in controtendenza, una delle pochissime occasioni, per quelli della mia età ma non solo, di stare insieme, di avere una comunità di destini, per far sì che si potesse continuare a pensare che la felicità fosse possibile come un fatto collettivo e non solo come una fatto privato. Questo è servito sia ai veterani di una stagione di impegno politico, sia a quelli che crescevano soli, come la mia generazione, ma ovviamente anche a quelli che sono venuti dopo. Perché gli anni ’80, gli anni dell’individualismo, forse non sono mai finiti; oppure finiscono proprio adesso, con la crisi finanziaria e il suo esasperato individualismo di ritorno.
Il Meeting ha fatto sempre molto discutere per il suo rapporto con i politici e la politica. Lei che ne pensa?
Devo fare una premessa: le altre volte leggevo del Meeting senza esserci, mentre quest’anno sono rimasto dal primo all’ultimo giorno. Da quel che ho potuto vedere non penso che ci sia stata poca politica, perché ci sono stati tutti i ministri più importanti e, diciamolo pure, l’esordio politico del governatore della Banca d’Italia. Ho trovato un Meeting molto politico, ma di una politica, direi, molto più anglosassone che non latina.
Sarebbe a dire?
Una politica nel senso moderno del termine, che mette al centro i fatti e non le formule bizantine o le manovre sottobanco. Non si è discusso di formule di governo e di correnti, ma di cose concrete: la crisi economica e le possibili soluzioni, la contrattazione decentrata, l’immigrazione, i salari.
E il rapporto tra il Meeting e la Chiesa?
Vedo uno sforzo dei prelati e dei sacerdoti cresciuti con don Giussani e dentro Cl per aprirsi al resto della Chiesa, e un tentativo dei prelati e dei sacerdoti cresciuti a volte lontano ma a volte anche contro Cl, per aprirsi e conoscere le ragioni di Comunione e liberazione. Noi - e parlo da cattolico - che non facciamo parte di quel mondo, sicuramente in passato abbiamo sbagliato nel caricare Cl di una connotazione politica che non aveva. Ma è anche vero che forse, in passato, Cl ha avuto delle asprezze - e penso alle polemiche del periodo democristiano - che in questo momento, ora che Cl è cresciuta in tutti i sensi, non ci sono più. Noi dall’esterno abbiamo capito meglio Cl. Ma anche Cl, in questa sua crescita impetuosa sotto l’aspetto culturale e sociale, si è probabilmente liberata di alcune vecchie incrostazioni politiche.
L'ingresso della fiera durante un incontro.
Il XXX Meeting di Rimini si è svolto nel segno della sfida contenuta nel messaggio di Benedetto XVI: «Non il distacco e l’assenza di coinvolgimento sono l’ideale da rincorrere, peraltro invano, nella ricerca di una conoscenza “obiettiva”, bensì un coinvolgimento adeguato con l’oggetto».
Tutti - relatori, ospiti e noi per primi - sono stati conquistati innanzitutto dallo spettacolo di quasi 4.000 volontari, che hanno pagato vitto e alloggio per potere lavorare al Meeting, segno di un desiderio di fare un’esperienza, cioè di vivere ciò che fa crescere, e di condividerla con chiunque. È un autentico “miracolo” che si ripete da trent’anni e che - a detta di tanti - è impossibile trovare altrove, frutto di un’educazione a vivere la gratuità come dimensione di ogni rapporto.
Con le quasi 800.000 presenze - sempre più alto è il numero di coloro che giungono dall’estero - i padiglioni del Meeting sono stati letteralmente saturati da tanti che hanno potuto incontrare personalità internazionali e protagonisti della vita italiana, visitare le mostre e partecipare agli spettacoli in programma. Particolarmente significativi la messa in scena del Miguel Manara di Milosz, uno dei testi più cari al popolo del Meeting, e il concerto di Enzo Jannacci, genio musicale e umano.
I quasi 300 relatori che hanno parlato durante la settimana hanno contribuito al realizzarsi di una conoscenza nuova della realtà e in alcuni momenti sono arrivati fino a comunicare il significato ultimo delle cose. A cominciare da don Julián Carrón: in un Meeting che ha messo a tema la conoscenza difficilmente avremmo potuto trovare un testimone migliore di San Paolo per documentare la verità del titolo scelto. Dall’altra parte, Carmine Di Martino ha mostrato la portata del tema dentro il percorso della modernità.
Per sette giorni le persone hanno potuto vedere che il percorso della conoscenza non è ridestato da discorsi o spiegazioni astratte, ma dall’incontro con persone che conoscono il reale in un modo nuovo e attraente, perché carico di una promessa di verità e di bene.
La settimana riminese è stata un susseguirsi di testimoni, nuovi o noti: Amparito dell’Ecuador, gli amici del Rione Sanità di Napoli e Josè Berdini di Corridonia, padre Aldo Trento del Paraguay, Marcos e Cleuza Zerbini di San Paolo del Brasile, Rose e Vicky di Kampala, i carcerati di Padova.
E ancora, abbiamo ascoltato personalità del mondo culturale come Mary Ann Glendon, che ha introdotto il tema della “esperienza elementare” come radice dei diritti umani.
Filosofi come Remi Brague e Fabrice Hadjadj, e premi Nobel e scienziati come John Mather, Charles Townes e Yves Coppens hanno mostrato che cosa significhi “allargare la ragione”.
Il Meeting dei trent’anni si è aperto con un evento internazionale eccezionale, favorito dal ministro Frattini: l’incontro di quattro leader di altrettanti Paesi africani, che hanno dialogato di pace e sviluppo. Assolutamente imprevista è stata la testimonianza umana e politica di Tony Blair, che è arrivata fino alla confessione pubblica delle ragioni della sua conversione al cattolicesimo: la scoperta del carattere universale della Chiesa.
Inoltre responsabili delle istituzioni, del governo italiano e dell’opposizione, hanno accettato di confrontarsi coi temi reali della vita di un popolo, dall’educazione al lavoro, dall’economia alla giustizia. È stato il caso di Renato Schifani, Mario Draghi e Giulio Tremonti, di Angelino Alfano, Maurizio Sacconi, Claudio Scajola, Mara Carfagna, Mariastella Gelmini, Roberto Calderoli e Luca Zaia, di Pierluigi Bersani ed Enrico Letta. Allo stesso modo si sono confrontati esponenti dell’economia e della finanza come Corrado Passera, James Murdoch, Fabio Conti e Raffaele Bonanni.
Fedele alla sua tradizione, il Meeting ha proposto momenti di ecumenismo reale con esponenti delle tradizioni ebraica, ortodossa e musulmana, animati da una sincera volontà di dialogo in vista di una convivenza pacifica nella verità e nella diversità. Particolarmente apprezzato l’intervento del cardinale di Madrid sul contributo della Chiesa alla vita sociale e quello del cardinale Caffarra sulla ragionevolezza della fede.
Nell’ultimo libro di don Giussani, Qui e ora, presentato a conclusione del Meeting, si legge che «l’uomo, che agisca con un minimo di autocoscienza, agisce avendo un motivo ultimo».
Per questo, il titolo del Meeting 2010, che si svolgerà a Rimini dal 22 al 28 agosto, è: «Quella natura che ci spinge a desiderare cose grandi è il cuore».