Proposta Cisl per riforma costituzione
Proposta Cisl per riforma costituzionale: appello tramite il sito www.cambialitalia.it, i 7 vizi capitali dell’Italia che i lavoratori non meritano, le 7 soluzioni che vogliamo, il metodo per realizzare la riforma
[Pagina senza pretese di esaustività o imparzialità, modificata 22/12/2018; col colore grigio distinguo i miei commenti rispetto al testo attinto da altri]
↑2014.07.03 Da: NC Inviato: giovedì 3 luglio 2014 07:15 A: vari amici
Oggetto: proposta di riforma costituzionale della CISL
Saluti a tutti,
allego una proposta di riforma costituzionale della CISL, che mi è capitata sotto gli occhi in questi mesi: dopo averci pensato per un po' ho deciso di lasciare la CGIL, cui sono iscritto da quasi 33 anni e iscrivermi alla CISL, che mi sembra meno arroccata e più aperta al nuovo che sta emergendo e alle esigenze di un movimento sindacale adeguato alle sfide di adesso..
NC
L’appello
Negli ultimi mesi del 2012 molte voci hanno segnalato che la crisi incombente in Italia, prima che politica o economica, è una crisi dello Stato. Ed è per questo che alcune personalità (Raffaele Bonanni, Luca Antonini, Mauro Magatti, Antonio Pilati, Lodovico Festa, Stefano Zecchi) hanno sottoscritto il “Manifesto per una revisione costituzionale”, che è stato poi presentato – con ampi apprezzamenti – con Enzo Moavero Milanesi, Gaetano Quagliariello e Luciano Violante.
Analoga preoccupazione era al centro dell’iniziativa “Scegliamoci la Repubblica”, promossa da alcuni intellettuali.
Questi giudizi sono stati clamorosamente confermati dalle elezioni politiche del 24 e 25 febbraio che non per nulla hanno evocato in tanti commenti i fantasmi di Weimar.
A partire dal “Manifesto per una revisione costituzionale” e per lanciare una profonda discussione sulle riforme reali di cui il Paese ha bisogno, l’evoluzione delle nostra proposta è rappresentata da questo nostro Appello.
E’ indispensabile in questo contesto trasformare la diffusa angoscia per le sorti della Repubblica in capacità di proposte realistiche. Tale è il senso di questo Appello.
Mentre la prima parte della Costituzione mantiene una magnifica espressione di principi e valori che non devono essere rimossi, la seconda è frutto anche di un compromesso definito dal particolare contesto storico di quegli anni. La preoccupazione di evitare conflitti incontrollabili determinati dal quadro internazionale prevalse in diversi casi sulle esigenze di uno Stato moderno, sull’opportunità di favorire la partecipazione dei cittadini, sull’importanza di dare responsabilità agli organi dello Stato, producendo quello “Stato dei partiti” che fu la Prima Repubblica e che poteva funzionare solo con la guerra fredda, la contrapposizione dei blocchi, e un’economia protetta.
Nella seconda Repubblica l’assetto istituzionale è stato ancor più indebolito da riforme costituzionali (Titolo V e Devolution) che, sotto la bandiera del federalismo, hanno generato esiti ingestibili e contradditori [CzzC: e un aumento di spesa pubblica sproporzionato rispetto alla percezione di un aumento di servizi, oltre a ruberie e privilegi/vitalizi]. Produrre uno sforzo di riordino costituzionale, sia pure limitato alla parte ordinamentale, non è questione semplice e per questo i sottoscrittori propongono anzitutto una metodologia che aiuti a superare le difficoltà più evidenti.
La nostra proposta è di affidare il lavoro preparatorio di riforma costituzionale a una Commissione Redigente composta di esperti e rappresentanti della società civile, vincolata da tempi e temi ben delimitati che eviti, come in casi precedenti, eccessi di scambio politico e di tensione e consenta nella fase finale forme di consultazione popolare.
I sottoscrittori invitano, quindi, tutti coloro che condividono l’esigenza di una fase di revisione costituzionale, rivolta a riordinare in termini efficienti l’assetto istituzionale dello Stato, adaderire all’Appello tramite il sito www.cambialitalia.it
Il documento “Nuove istituzioni, Cambiare l’Italia”, parte integrante dell’Appello, contiene alcune linee di contenuto che auspichiamo qualifichino la futura riforma dello Stato.
L’ITALIA CHE I LAVORATORI NON MERITANO : I SETTE VIZI CAPITALI
1. Ingestibilità: più di 900 parlamentari, 20 Regioni, 110 Province, 8092 Comuni. Il risultato è un policentrismo anarchico privo di coordinamento efficace che alimenta un localismo conflittuale in cui il diritto di veto finisce per bloccare qualunque decisione. Esattamente il contrario della partecipazione basata sul principio di sussidiarietà che presuppone il riconoscimento di un bene comune, derivante dalla appartenenza ad un’unica comunità nazionale. Il risultato è un sistema dove a prevalere sono frammentazione e incertezza del diritto. Frammentazione: su una qualsiasi procedura si incrociano troppe competenze costituzionali. Addirittura un semplice albero è oggetto di almeno cinque diversi tipi di competenze: europea, statale, regionale, provinciale, comunale. Questa frammentazione, con la difficoltà a mettere d’accordo i soggetti coinvolti, produce costi enormi: oggi in Italia il costo per un Km di rete ferroviaria ha raggiunto 50 ml di euro, contro i 13 della Francia e i 15 della Spagna. La differenza dei costo non è giustificabile solo con la conformazione orografica del territorio italiano. Incertezza del diritto. La qualità delle leggi è pessima e la quantità eccessiva. Ne deriva incertezza per i diritti dei cittadini, possibilità di arbitrio per i pubblici poteri, incremento dei ricorsi davanti alla Corte costituzionale: soprattutto l’eccesso di conflittualità tra Stato e Regioni genera un danno insanabile alla affidabilità del Paese. La debolezza di un sistema interno di questo tipo mina inoltre la stessa possibilità di autorevolezza sui tavoli europei: la cessione di sovranità rischia di esaurirsi in una dissipazione di sovranità.
2. Eccesso di burocrazia: dal 1997 ad oggi, ogni anno è stata varata almeno una legge statale di semplificazione, ma nelle classifiche internazionali sulla facilità di fare impresa rimaniamo agli ultimi posti. La riduzione del peso della burocrazia sembra essere un’impresa impossibile. Le leggi di semplificazione si scontrano con le innumerevoli competenze regionali che, in un assurdo federalismo di complicazione, bloccano le riforme. Ogni piccolo comune può avere 50 o più regolamenti edilizi diversi dal Comune vicino. L’incertezza sui principi di responsabilità espone i pubblici dipendenti e produce paralisi o cavillosità che pregiudicano lo sviluppo delle attività economiche.
3. Deresponsabilizzazione: un altro esempio emblematico. La competenza legislativa sulle “grandi reti di trasporto” è stata decentrata; ma il finanziamento del trasporto pubblico locale avviene tramite un trasferimento statale alle Regioni in base alla spesa storica, che poi girano le risorse, sempre in base alla spesa storica, in parte alle Province e in parte ai Comuni. A loro volta questi enti le girano alle aziende di trasporto. Sintesi: le Regioni stanno negoziando ormai da due anni l’entità del trasferimento con lo Stato, le polemiche tra i vari soggetti coinvolti sono enormi, il caos è totale, la possibilità di razionalizzare la spesa è lontana e a pagarne le conseguenze sono, lo sappiamo bene, i cittadini, i giovani, le madri lavoratrici, gli anziani, in genere le fasce più deboli della società che utilizzano quotidianamente i servizi pubblici.
4. Penalizzazione di chi è virtuoso. In questo sistema i virtuosi sono sistematicamente penalizzati con tagli lineari; i cittadini ne subiscono l’effetto vedendo scomparire o rincarare i servizi; la pressione fiscale aumenta perché gli sprechi degli enti inefficienti non vengono ridotti con forme adeguate di commissariamento. Anzi, spesso, i deficit vengono ripianati con le imposte di tutti i contribuenti italiani, come è avvenuto ancora una volta con il fondo del 2012 per salvare una quarantina di Comuni in pre-dissesto, tra cui Napoli.
5. Polverizzazione: Degli 8.092 Comuni il 70,4% ha meno di 5.000 abitanti. Il più piccolo comune italiano (Pedesina, 36 abitanti) ha le stesse funzioni fondamentali di Milano (circa 1,4 ml di ab.), ma nessuna delle ultime due legislature, con tre governi che si sono succeduti, è riuscita a portare ad approvazione la Carta delle Autonomie, che avrebbe dovuto definire in modo adeguato “chi fa che cosa”. La riforme delle Province è bloccata, continuano a esistere province che hanno meno di 60.000 abitanti.
6. Incontrollato finanziamento pubblico dei partiti. Il sistema del finanziamento pubblico dei partiti ha dato luogo a fenomeni fuori da ogni controllo e da ogni decenza. Numerosissimi scandali lo hanno dimostrato. I partiti, che hanno una importante finalità pubblica, continuano a non avere una chiara cornice legislativa di riferimento.
7. Continue elezioni con rincorse e promesse. Nel prossimo periodo quasi ogni sei mesi ci sarà un blocco di elezioni: in centinaia di comuni si va al rinnovo a maggio 2013, dopo questo voto nazionale di febbraio; nel 2014 ci saranno le elezioni europee e le elezioni amministrative in un altro importante blocco di Comuni; nel 2015 ci saranno le elezioni regionali e le elezioni amministrative in un ulteriore blocco di Comuni. Questo sistema non solo produce i costi diretti dei seggi e delle votazioni, ma produce enormi costi indiretti nella misura in cui impedisce di affrontare seriamente le riforme: i partiti sono sempre in campagna elettorale, alla ricorsa delle promesse e mai impegnati nelle vere riforme.
L’ITALIA CHE VOGLIAMO: 7 SOLUZIONI
1. Un sistema di enti locali efficienti
Molti Paesi europei in questi anni hanno ridotto fortemente il numero dei loro Comuni: la Germania da circa 20.000 a 10.000; la Gran Bretagna da circa 1.600 a circa 500; la Danimarca da circa 1.400 a circa 300; Il Belgio da circa 2000 a 500. In Italia dal 1948 ad oggi sono aumentati e il 70% è sotto quella soglia minima di efficienza che è di 5.000 abitanti. Occorre stabilire in Costituzione la dimensione minima dei Comuni sia 5.000 abitanti, obbligando alle fusioni i Comuni troppo piccoli. Così anche l’Italia sarebbe allineata agli altri Paesi europei, con forti risparmi e migliori servizi.Province solo se servono.In Costituzione bisogna stabilire che le province devono avere una dimensione minima di 350.000 abitanti e che possono esistere solo in quelle Regioni che decidono di mantenerle.Un numero massimo di consiglieri regionali.In Costituzione deve essere previsto il numero massimo di consiglieri regionali in relazione alla popolazione regionale.
2. Valorizzazione delle realtà virtuose e maggiori controlli statali in quelle inefficienti
Occorre un sistema costituzionale che valorizzi l’autonomia delle realtà virtuose e che aumenti i controlli statali in quelle inefficienti e sistematicamente in disavanzo: meno Stato nelle realtà efficienti; più Stato in quelle inefficienti. Costi e fabbisogni standard. La distribuzione delle risorse finanziarie e il sistema di perequazione devono essere stabilmente basati (attraverso una previsione costituzionale) sui livelli essenziali delle prestazioni e sui costi/fabbisogni standard, superando radicalmente sia gli sprechi enormi della spesa storica sia il meccanismo dei tagli lineari, fatti “al buio” senza sapere cosa poi accade negli enti territoriali, che magari per effetto dei tagli chiudono asili o sospendono altri servizi pubblici.
3. Un modello tedesco di federalismo solidale
La Costituzione deve prevedere un federalismo fiscale solidale basato sulla responsabilizzazione, anche per mezzo delle funzioni di un Senato federale, degli enti territoriali e dello Stato. Occorre inoltre che alle Regioni sia assegnato il potere ordinamentale sugli Enti locali, cui va operò costituzionalmente garantita autonomia e responsabilità per le loro funzioni. Occorre stabilire il divieto di interventi statali a ripiano dei deficit degli enti territoriali, salvo che siano accompagnati da forme di commissariamento statale.
4. Election day e superamento dell’attuale sistema di finanziamento ai partiti
Occorre introdurre in Costituzione il meccanismo dell’election day, in modo che le consultazioni regionali e locali avvengano stabilmente in un’unica data e contestualmente alle elezioni politiche nazionali, salvo il caso di scioglimento anticipato delle Camere. Finanziamento pubblico dei partiti su base volontaria. Occorre superare l’attuale sistema di finanziamento pubblico dei partiti (stabilendo forme di adeguata regolamentazione), prevedendo che possa avvenire in misura assolutamente prevalente con forme di contribuzione volontaria dei cittadini mediante la destinazione fiscale di una percentuale delle imposte dovute allo Stato (tipo 5 per mille) o mediante altre modalità mutuate dalle migliori esperienze delle maggiori democrazie europee.
5. Riduzione del numero dei parlamentari
Una Camera dei deputati con 420 componenti (dimezzati rispetto alla cifra attuale) è più che sufficiente per garantire democraticità al sistema e rendere il procedimento legislativo efficiente. Senato federale. L’attuale Senato con 315 senatori va sostituito con un Senato federale con al massimo 60 componenti, sul modello tedesco, per responsabilizzare le Regioni, superare il federalismo di complicazione e rendere gestibile tutto il sistema.
6. Governabilità e riordino del riparto di competenze legislative
La legge elettorale attuale deve essere superata e solo la Camera dei deputati deve votare la fiducia al Governo. Ordine nelle competenze legislative. Occorre una ripartizione di competenze semplificata tra Stato e Regioni, superando l’attuale confusione generata dalla pletora di materie concorrenti. Efficienza della PA. Occorre che la Pubblica amministrazione, statale e locale, orienti la sua azione ai risultati, garantendoli, e non semplicemente alle procedure. Raccordo efficace con l’Unione europea. Occorre inoltre un maggiore raccordo tra le istituzioni nazionali e quelle europee, in modo da garantire un’azione efficace e coordinata, realmente funzionale alle esigenze del nostro sistema.
7. Un sistema bilanciato dei poteri dello Stato
Occorre un migliore bilanciamento tra i poteri dello Stato, ripristinando da un lato le condizioni di una vera governabilità democratica, stabile ed efficace (un governo forte in un parlamento forte), e dell’altro ristabilire quel sistema di checks and balancesche è proprio di ogni Stato moderno.
EFFETTI POSITIVI
Con questa revisione costituzionale il nostro Paese realizzerebbe quelle riforme strutturali che sono indispensabili per la modernizzazione e per rilanciare la crescita. Si otterrebbe non solo un risparmio stimabile in parecchie decine di miliardi di euro, ma anche un nuovo livello di efficienza della spesa pubblica: le istituzioni, anziché finire bloccate in continui veti incrociati, sarebbero poste nelle condizioni di rilanciare finalmente i processi produttivi e sociali.
METODO PER REALIZZARE LA RIFORMA
Quando si parla di riforme costituzionali, tuttavia, lo spettro che subito appare è quello dei fallimenti che hanno caratterizzato gli ultimi trent’anni della nostra storia. E’ un aspetto che deve necessariamente essere considerato. Per questo si propone un nuovo metodo affidando il lavoro preparatorio di riforma costituzionale (con tempi e temi ben delimitati) a una Commissione Redigente composta di esperti, parlamentari e non, rappresentanti del mondo produttivo e del lavoro, del mondo delle autonomie, che garantiscano un’alta qualità tecnica e culturale. In questo modo, sottraendo alla diretta gestione politica la prima redazione del testo, si possono evitare quegli eccessi di scambio politico e di tensione che hanno portato al fallimento dei processi di riforma degli ultimi trenta anni. Si prevede inoltre che la Commissione resti in carica anche nel caso di fine anticipata della legislatura, in modo da evitare che gli scioglimenti possano vanificare il lavoro di riforma. Il nostro obiettivo è presentare quanto prima un progetto di legge di revisione costituzionale di iniziativa popolare condiviso, ispirato a queste linee.