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Perché Opec tiene basso il prezzo del petrolio? |
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Pagina senza pretese di esaustività o di imparzialità: link e commenti blu sono miei(CzzC) |
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Questo articolo di economist indica più di una motivazione tra le possibili sottese alla decisione Opec in titolo, ma ne dissimula di più importanti. |
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08/12/2014: l’articolo <economist: Why the oil price is falling> indica più di una motivazione tra le possibili sottese alla decisione Opec (dominata dai filo wahhabiti) di tenere basso il prezzo del petrolio: la conclusione è quella che mi pare più vicina alla realtà (guerra economica dei wahhabiti contro i lor nemici) ma nel contempo più dissimulante la regia maggiore: leggo e poi commento: “il danno più grande patiscono quei paesi i cui regimi sono dipendenti da un prezzo del petrolio elevato per pagare costose avventure straniere e costosi programmi sociali. Questi includono la Russia (che è già colpita dalle sanzioni occidentali per la sua ingerenza in Ucraina) e Iran (che sta pagando per mantenere a galla in Siria il regime di Assad). Gli ottimisti ritengono che tale danno economico possa rendere questi paesi più flessibili alla pressione internazionale. I pessimisti temono che, messi alle strette, essi possano scatenarsi per disperazione.” [CzzC: non c’è dubbio che colpire la Russia sia un obiettivo, ma accostarla all’Iran come possibile scatenatrice di guerra reazionaria, serve all’autore per darne un’immagine minacciosa (criminalizzazione) in aggiunta alle sanzioni, mentre non pare essere la Russia oggi a configurare il pericolo di un conflitto catastrofico: non l’ha scatenato nella guerra fredda, figurarsi ora che era diventata partner commerciale privilegiato dell’Europa con una rappresentanza consultiva in Nato; semmai è da Pakistan e India che il mondo ha da temere una catastrofe nucleare, quantomeno perché entrambe sono contagiate dal cinismo imperialista Uk, intrise di furia integralista antagonista, divise in caste di privilegiati e diseredati, persecutrici di esili residue radici cristiane, uniche producenti linfa di pace e tolleranza da quelle parti, ma, guarda caso, entrambe potenze alleate dell’innominato: lo strapotere finanziario-militare del dollaro Us, primario regista di tanti patimenti perché la dedollarizzazione renderebbe assai più arduo per i $finanzieri e per gli alleati fondi sovrani filo wahhabiti spalmare sui ¾ dell’economia mondiale (tanta è la diffusione attuale del dollaro contro un 20% dell’economia americana) le loro alchimie fiananziarie intossicate dal cinico criterio di privatizzare i guadagni e socializzare le perdite. E chi avrebbe oggi le maggiori chances per diventare moneta concorrente del dollaro? L’euro di un’Europa che sinergizzasse economicamente con la Russia, magari valorizzando il meglio delle comuni radici cristiane e rigettando il peggio del laicismo masso-ispirato da oltre oceano: - di qui i conflitti scatenati in EMEA che hanno disintegrato regimi (Gheddafi) che stavano scegliendo il petroleuro anziché il petroldollaro; e possiamo ritenere che gli US non sarebbero intervenuti così pesantemente contro Isis se il califfato si fosse limitato ad usare i foraggiamenti Us-wahhabiti anti Assad (sterminando cristiani, yazidi, curdi e sciiti) anziché decapitare qualche americano (anche Bin Laden fu foraggiato in Arabia prima di ammazzare americani; forse un giorno capirai, cara America, quanto sia perniciosa per il bene dell’umanità la tua alleanza militar-finanziaria con uno dei regimi più anticristiani del pianeta); - di qui anche la guerra in Ucraina, con Kerry ad aizzare piazza Maidan contro i russofoni di Ucraina, e con Obama ad indurre l’Europa a comperare più armi e a farsi del male con sanzioni contro la Russia e contro il principio di autodeterminazione dei popoli, con danni di miliardi anche per l’economia italiana. Naturalmente l’Economist, che prospera su una piazza finanziaria galleggiante sui petroldollari e che ha sempre preferito la coppia dollaro/sterlina all’euro, disprezzandolo fin dalla nascita (nonostante che all’Uk sia stato concesso di dare alla UE assai meno contributi di quanti ne dà l’Italia), deve fare il gioco dell’innominato padrone del vapore, qui dissimulandone gli artigli. Forza Mogherini! Non copiare la Ashton! Vuoi un’altra cartina di tornasle? “Also hard hit are oil-exporting countries such as Russia (where the rouble has hit record lows), Nigeria, Iran and Venezuela”: - della Russia abbiamo già detto; - la Nigeria è l’unico grande produttore di petrolio afro-asiatico, che sia mezzo cristiano, assieme alla Russia e al Sud Sudan, non a caso di nuovo in guerra civile eterodiretta; - l’Iran è sciita, filo Assad, nemici giurati dei wahhabiti, sanzionato da US, propenso a transare in petroleuro o petrolyuan; ma potrebbe servire per contenere gli eccessi Isis, costasse pure accontentarlo sulle centrali nucleari; - è arcinoto di quanto il Venezuela sia leader dei sudamericani invisi al $ fino a preferirgli lo yuan: zio Paperon sta aspettando che passi il cadavere sotto il ponte, ma la Cina tenta di ribattere col canale in Nicaragua]. |