Dio, Einstein e il GPS: confronto tra Bersanelli e Heller

«La realtà continuamente ci mostra il suo lato "inarrivabile, perché ogni punto di arrivo coincide sempre con un'ulteriore domanda. Ma quale rapporto c'è tra l'ordine del cosmo così come ci è dato di poterlo osservare e il fatto che questo universo esista, sia dato, sia tratto dal nulla?». [CzzC: dal vuoto, non dal nulla]. Ci sono 3 lacune, ontologica, epistemologica e assiologica, che forse la scienza non riuscirà mai a colmare; non che la trascendenza si giustifichi con le lacune, ma queste non possono escludere la trascendenza in quanto tali.

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↑2013.03.22 trassi da Euresis. Marco Bersanelli e Michael Heller, L’Osservatore Romano, 22 marzo 2013

Pubblichiamo stralci di un articolo presentato nell’ultimo numero della rivista «Vita e Pensiero». Il testo propone un confronto tra Marco Bersanelli, astronomo e astrosfiico dell’Università di Milano, e Michael Heller, fisico e cosmologo polacco membro della Pontificia Accademia delle Scienze e astronomo della Specola Vaticana.

BERSANELLI: Fede e autentica scienza tendono entrambe alla verità, cioè entrambe tendono a qualcosa di reale, sebbene per vie diverse e con diversi metodi. Come scienziati è interessante notare, d’altra parte, che proprio dalla scienza nascono delle domande nuove; in un certo senso, si pongono interrogativi che provengono dall’esperienza del reale secondo quel metodo particolare che la scienza è in grado di utilizzare. Per esempio, che oggi la scienza sperimentale, attraverso lo studio dell’infinitamente grande o dell’infinitamente piccolo, sia ancora in grado di conoscere qualcosa di nuovo non è ovvio, non è scontato. La realtà continuamente ci mostra il suo lato “inarrivabile”, perché ogni punto di arrivo coincide sempre con un’ulteriore domanda. Ma quale rapporto c’è tra l’ordine del cosmo così come ci è dato di poterlo osservare e il fatto che questo universo esista, sia dato, sia tratto dal nulla?

HELLER: Vorrei richiamare una famosa affermazione di Einstein: «C’è solo una cosa che voglio sapere, voglio conoscere la mente di Dio, cioè l’idea che Dio aveva in mente quando decise di creare l’universo». Nel 1915 Einstein aveva elaborato la sua teoria sulla relatività, una delle teorie più importanti della fisica, con l’aiuto della quale abbiamo cercato di risolvere il mistero dell’universo. Per spiegare l’idea principale che sta alla base della relatività generale di Einstein pensiamo allo spazio e al tempo. Essi sono elementi cruciali nelle teorie matematiche, perché forniscono una specie di palco su cui si evolvono i., processi fisici. Gli studiosi ritengono che lo spazio e il tempo dovrebbero essere riuniti in un concetto unico, considerati cioè insieme come spaziotempo. Quando lo spazio-tempo è vuoto, è completamente piatto. Se appare un pianeta, ecco che si curva. Secondo l’equazione di campo di Einstein, il campo gravitazionale altro non è che una curvatura dello spazio-tempo, che l’equazione stessa ci dice come calcolare.  Questa non è poesia, è scienza empirica, con un impatto sulla vita quotidiana. Pensiamo infatti al navigatore Gps, utilizzato praticamente ogni giorno in auto. Dei satelliti orbitano intorno alla Terra e inviano segnali che il nostro Gps registra per poi mostrarci la nostra posizione in un determinato luogo. All’inizio questo sistema non era molto preciso: nel determinare la posizione di un’auto si verificava un errore di un paio di miglia. Un fisico particolarmente intelligente si rese conto che ci si era dimenticati di considerare un elemento importante nel calcolo, ovvero la curvatura dello spaziotempo che crea campi gravitazionali. Rifatti tutti i calcoli includendo anche questo piccolo fattore, è emerso che il Gps funziona perfettamente. Così, ogni volta che si utilizza il Gps in auto, si mette alla prova la correttezza della teoria della curvatura dello spazio-tempo. Due anni dopo Einstein pubblicò le Considerazioni cosmologiche sulla teoria della relatività generale, una cosmologia basata sulla teoria della relatività generale in cui applicò l’equazione per descrivere la curvatura prodotta da tutta la materia presente nell’universo, realizzando così il primo modello cosmologico. Tuttavia incontrò alcune difficoltà, perché ne emergeva un universo non stabile, che tendeva a collassare, mentre cosa c’è di più stabile dell’universo, il posto dove viviamo? Einstein rivide dunque l’equazione e aggiunse un nuovo termine, adesso chiamato la “costante cosmologica”. Così corretta, l’equazione generava un modello stabile dell’universo, il primo modello relativistico mai creato: il cosiddetto “universo statico” di Einstein. Le equazioni di Einstein sembrano brevi perché in genere le riportiamo nella loro formulazione contratta, ma in realtà nella forma sviluppata contengono migliaia di temi. Ecco perché Einstein diceva: «Quando Dio creò l’universo fu particolarmente sofisticato perché aveva deciso di scegliere questa serie di equazioni così complesse, però non è stato malizioso perché ci ha permesso di semplificarle e di arrivare a una risposta che, sebbene approssimativa, è assolutamente accettabile». La storia della cosmologia relativistica è davvero interessante. Oltre a Einstein, occorre ricordare anche padre Georges Lemaitre, un sacerdote belga oggi considerato il cofondatore della cosmologia moderna. E Alexander Friedmann, un matematico russo che lavorava a Leningrado intorno al 1920 e che, risolvendo le equazioni di Einstein, fece emergere che producevano non solo l’universo statico, ma moltissime altre soluzioni; il problema era quali di queste soluzioni fossero effettivamente presenti nel nostro universo. L’universo standard a cui siamo abituati, l’universo che riteniamo il “nostro” universo, è chiamato “modello dell’universo di Friedmann e Lemaitre”, perché entrambi hanno contribuito al suo sviluppo. Passando all’aspetto più pratico della cosmologia, ci soccorre un astronomo americano famosissimo, Charles G. Abbott, che nel 1929 scopri in maniera empirica l’effetto dell’espansione dell’universo. La famosa “legge di Abbott” rappresenta una delle pietre angolari della nostra conoscenza empirica in campo cosmologico. Tanto è vero che il telescopio che oggi è in orbita si chiama telescopio di Abbott in onore suo: da esso provengono molte delle bellissime immagini dell’universo che vediamo. Oggi la legge dell’espansione dell’universo è stata ormai dimostrata dai nuovi dati astronomici. Nel 1931 Lemaitre ebbe poi l’idea di quello che più tardi venne definito “big bang” e al quale egli si riferiva come all’atomo primordiale. A coniare termine “bíg bang’ fu l’astronomo britannico Fred Hoyle, che non condivideva l’idea sull’atomo originale di Lemaitre, da lui ironicamente definito il gesuita del “big bang” (“big bang” significa due cose: sia l’inizio dell’universo sia, in inglese, pallone gonfiato). Il modello di Lemaitre comincia appunto con il “big bang”. L’universo si espande, il processo inizialmente rallenta e poi accelera. Nella fase di rallentamento, quando si rafforza il campo gravitazionale, alcune parti di materia si possono assemblare e formare galassie. Lemaitre postulò che la parte piatta della curva era la fase della formazione delle galassie. In questo modello la costante cosmologica introdotta da Einstein è positiva, ovvero superiore a zero.

BERSANELLI: Qualche volta si coglie il tentativo di leggere la Bibbia o i testi sacri quale sorta di descrizione naturalistica di come l’universo è fatto e di come si è evoluto. Altre posizioni, più diffuse forse, riguardano un’immagine della scienza che si oppone a qualunque fede, e alla fede cristiana in particolare, relegandola nell’irrazionale e lasciando che soltanto la via della conoscenza em- pirica sia degna di potersi dire conoscenza, razionale o ragionevole. Altra posizione ancora, oggi di moda per certi versi, è quella di vedere “buchi” o “crepe”, situazioni e fenomeni di cui la scienza non è in grado di dare spiegazione con i suoi metodi, come evidenza della necessità di appellarsi a Dio. Mi sembra che l’accezione che sta dando del rapporto tra la creazione e il Creatore gia un poi’ diversa.

HELLER: I pensatori cristiani del xx secolo, soprattutto negli anni Sessanta e Settanta, svilupparono un’ideologia (la chiamo volutamente così) secondo la quale metodo scientifico e metodo filosofico-teologico si trovano su due livelli epistemologici diversi, che mai potranno interagire e incontrarsi. Anche se la scienza e la teologia utilizzano la stessa terminologia (per esempio “inizio”, o “creazione”), questi termini hanno un significato completamente diverso nelle due discipline; il conflitto tra le due è dunque solo apparente, dovuto semplicemente a incomprensioni. Non condivido questa ideologia dei due piani che non si intersecano, perché se guardiamo alla storia dei rapporti tra scienza e religione vediamo invece moltissime interazioni, anche conflittuali, che non possiamo cancellare semplicemente definendole “incomprensioni”. Se i metodi si trovano su piani epistemologici diversi (e in un certo modo questo è vero), essi sono comunque immersi in uno spazio più ampio rappresentato dalla nostra cultura, attraverso la quale interagiscono tra di loro. Ritengo che si debba distinguere tra metodi scientifici e metodi teologico-filosofici: sono diversi e utilizzano concetti e linguaggi diversi; spesso e volentieri le contraddizioni si vengono a creare proprio quando questi due livelli vengono mischiati. Però non è vero che non interagiscono.

BERSANELLI: Si può dire, seguendo questo suo pensiero, che attraverso la conoscenza scientifica (in quanto ci fa vedere la realtà fisica sotto punti di vista più profondi) è come se noi apprezzassimo ancora di più l’universo quale segno del Creatore.

HELLER: Questo mi riporta alla domanda precedente, sul “Dio” che entra nelle crepe e nelle lacune della nostra conoscenza: è un’ideologia molto pericolosa. Per esempio, qualcuno considera il “big bang” come il momento in cui Dio ha creato l’universo, e lo fa proprio strategicamente, perché in realtà non sappiamo cosa ci fu dentro questo singolare fenomeno (che comunque è un’ipotesi). Ci sono due o tre lacune ultime che la scienza non riuscirà a colmare. Le prime due sono l’esistenza dell’universo (una lacuna ontologica e non scientifica, ovviamente) o la comprensibilità dell’universo; poi ce n’è una terza, che dovrebbe essere definita lacuna assiologica perché riguarda la dottrina dei valori (perché esistono i valori? Perché c’è differenza tra il male e il bene?). Queste sono tre lacune – ontologica, epistemologica e assiologica – che forse la scienza non riuscirà mai a colmare, quindi sono aperte alla trascendenza.

[CzzC: non che la trascendenza debba giustificarsi con le lacune, ma le lacune in quanto tali non potrebbero escludere la trascendenza].