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ultima modifica il 14/12/2018 |
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Franco Masserdotti: il prete 68ttino a SociologiaTN preso sotto la protezione di Gottardi |
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Pagina senza pretese di esaustività o imparzialità: contrassegno miei commenti in grigio rispetto al testo attinto da altri. |
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quando «certi esponenti della gerarchia avevano l’impressione che Franco fosse più marxista che comboniano e sacerdote». Su Agorà un bel profilo di Mons. Franco Masserdotti divenuto Vescovo nel 1996. Su <cathopedia> la sua biografia; il Vescovo Masserdotti morì in un incidente stradale nel 2006: qui l’associazione a lui nominata; youtube la sua vita |
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Trassi da pag 26 di Avvenire/Agorà 12/12/2012 Franco Masserdotti, il Sessantotto e il flauto del Buon Pastore
Ci fu chi andò in India, alla ricerca di esperienze spirituali alternative, e chi ha fatto carriera nei grandi giornali. Chi ha imboccato la via del terrorismo e chi è finito più a destra della destra. Quelli del Sessantotto hanno percorso destini imprevedibili, persino opposti, a volte contraddittori – almeno apparentemente – con i loro ideali di un tempo. Ma come si giudicherà la strada di Franco Masserdotti, il sessantottino diventato vescovo? Certo un vescovo sui generis: missionario comboniano, sedette su una cattedra di stracci a Balsas, città brasileira del Nordeste, dove la Transamazzonica e l’afa coprono presto di polvere tutti i troni e ogni altare, livellando la tentazione clericale con lo spettacolo umiliante delle povertà. Per cui dom Franco non si può almeno accusare di scarsa coerenza – come invece non pochi dei suoi ex compagni di Sociologia a Trento: la facoltà di Mauro Rostagno e di Curcio, di Marco Boato e di Mara Cagol; lui si sentiva ben rappresentato da quel Buon Pastore senza bastone ma con un flauto in mano («Il primo è segno di autorità e di forza, il secondo fa capire che il vescovo ama la bellezza e conosce la tenerezza») che ricevette in dono nel 1996 per la consacrazione episcopale; lui dieci anni dopo morì come uno qualunque lungo la strada, ad appena 65 anni, in un banale incidente mentre andava in bicicletta. Ora due confratelli ed amici, Giovanni Munari e Francesco Pierli, ne raccontano la vita in un volume che riprende il titolo da quel’immagine di cui sopra: Il flauto invece del bastone (Emi, pp.160, euro 12). Vi si apprende tutta la «carriera» di monsignor Masserdotti, capace bresciano che aveva percorso senza perdere l’entusiasmo la via in salita delle responsabilità nel suo Istituto e nella Chiesa: missionario in Brasile dal 1972, poi vicario generale e coordinatore delle comunità di base, quindi dal 1979 a Roma come consigliere generale dei comboniani, in seguito dal 1985 di nuovo in Brasile con la funzione di formatore e responsabile dei confratelli della regione, infine appunto vescovo – nonostante il suo curriculum non proprio curiale – e animatore di innumerevoli e iniziative molto innovative per la sua diocesi: la pastorale degli indios, la promozione del diaconato permanente, la convocazione di un sinodo, l’invio di brasiliani (anche laiche) missionari in Africa, la fondazione di una radio e la promozione di una tv, addirittura il progetto per una università cattolica...
Colpisce, nelle esperienze di dom Masserdotti, l’approccio analitico ai problemi da risolvere e il suo ricorso ai metodi sociologici: retaggio senza dubbio della laurea presa da giovane pretino negli anni bollenti di Trento, con una tesi su «Aspetto religioso ed ecclesiastico della sovrastruttura, con particolare riferimento alla figura del prete»... Alcuni compagni rievocano nel libro proprio quei tempi, primo tra tutti lo stesso Pierli – che poi è stato superiore generale dei comboniani: «Certi confratelli e alcuni esponenti della gerarchia avevano l’impressione che Franco fosse più marxista che comboniano e sacerdote. Dobbiamo ringraziare Dio se allora non se ne andò sbattendo la porta. C’era chi lo vedeva già fuori della congregazione e della Chiesa... Invece, nonostante la pressione di alcuni compagni di studio rimase sempre profondamente convinto del suo ministero; quello che lo salvò dall’entrare in crisi profonda fu il contatto con la gente, soprattutto quella semplice». Ma proprio un «contatto» reputato eccessivo fece nascere lo «scandalo» che un altro amico di quei tempi, Marco Giovannini, ricorda: «Erano gli anni in cui proliferavano i gruppi spontanei e Franco divenne il punto di riferimento del nostro. Si andava nelle parrocchie a parlare sul tema della pace o della fame. Ma un bel giorno a chi di dovere, ovvero alla direzione generale dei comboniani, arrivò una lettera firmata da alcuni parroci in cui si avvisava che padre Masserdotti era stato visto in Lambretta con una ragazza 'recante un grande mazzo di fiori' che si aggrappava a lui...». Cos’era successo? Padre Franco e una ragazza erano andati a prendere l’insalata per la cena del gruppo. Il sacerdote fu subito convocato addirittura a Roma dal superiore generale e minacciato di immediato invio in Africa; fu solo l’arcivescovo di Trento monsignor Alessandro Gottardi a permettergli di finire gli studi, prendendolo sotto la sua tutela personale. Oggi Giovannini ed altri ex sessantottini hanno formato a Trento l’Associazione Dom Franco per continuare le opere brasiliane del loro amico che non c’è più.
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