Cl vorrebbe divorziare da Formigoni?

Trassi da corriere.it 2011.10.17: non intendo giustificare eventuali azioni reo-peccaminose, da chicchesia commesse, ma propongo discernimento ...

[Pagina senza pretese di esaustività o imparzialità, modificata 06/01/2024; col colore grigio distinguo i miei commenti rispetto al testo attinto da altri]

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2011.10.17 Trassi da corriere.it

 

FORMIGONI E COMUNIONE E LIBERAZIONE

«Ha creduto di essere diventato il capo»

Ora Cl vuole il divorzio da Formigoni

 

Nel movimento tanti si vantano di lavorare perché non nasca una lista a suo nome. Si guarda al modello di Sant'Egidio

Se proprio volessimo cercare una metafora dei rapporti tra Roberto Formigoni e Comunione e Liberazione potremmo scegliere quella legata al nuovo grattacielo della Regione Lombardia.

Optando per un palazzo di 39 piani il Celeste ha ribadito la sua propensione per la verticalità mentre la filosofia dei ciellini resta, nonostante tutto, ancorata a una visione orizzontale della vita e della società. Il distacco tra Cl e Formigoni quindi non parte dagli ultimi episodi, si alimenta di un'insofferenza che data molto più addietro.

Oggi diversi esponenti di Cl arrivano a sostenere che se fosse stato per loro Formigoni sarebbe diventato presidente del Senato e non avrebbe dovuto ricandidarsi alla guida del Pirellone. Secondo questa ricostruzione sarebbe stato Silvio Berlusconi a volerlo ancorare a Milano e a precludergli la Capitale. Sia opportunistico o meno ricordarlo, l'episodio è sintomatico perché è rivelatore di una volontà di prendere le distanze dal Celeste che ormai sembra conoscere poche eccezioni. Trovare un ciellino che tifi per Formigoni è difficile. E non è certo un caso che intervenendo da Gad Lerner lo scorso lunedì sera Mario Mauro, capogruppo pdl a Strasburgo e ciellino onni-rispettato, non abbia minimamente preso in considerazione l'ipotesi di una lista Formigoni e abbia invece esplicitamente indicato come candidato al Pirellone un non ciellino, Gabriele Albertini. Un modo per dire «noi abbiamo già dato e stare fermi un turno non ci può far che bene».

La verità, infatti, è che il movimento sta tentando disperatamente di non pagar dazio, di chiudere la parentesi formigoniana così come si licenzia un allenatore che ha vinto tanto ma è diventato ingombrante. Tutti quindi in questi giorni lavorano per recuperare la giusta distanza. Non solo dal governatore della Lombardia («che come Lucifero a un certo punto ha creduto di esser diventato il capo di Cl») ma anche da Berlusconi che se fosse per i ciellini non dovrebbe nemmeno pensare di potersi candidare alle politiche del 2013. In questo affannoso recupero di autonomia la lettera di Julián Carrón, il successore di don Giussani, uscita il 1 maggio su Repubblica è citata e stracitata. In molti la sanno a memoria. Il passaggio chiave è laddove Carrón contrappone «testimonianza» ed «egemonia» e implicitamente accusa Formigoni di essere rimasto vittima della seconda. La volontà di potenza che ha preso il posto dei legami orizzontali con la società. Eppure la forza di Cl sta proprio nella sua capillarità, nelle reti di welfare minimo che ha saputo costruire. Se la globalizzazione ti lascia da solo, Cl no. Se sei un avvocato troverai la tua associazione, se la tua famiglia è vittima del disagio troverai chi la soccorre. Ma a differenza della Caritas ai ciellini hanno sempre tramutato l'empatia sociale in una macchina capace di produrre preferenze e consenso da negoziare con il mondo politico per ottenere gli obiettivi del movimento [CzzC: la Caritas no? Quella che conosco io dalle mie parti è capace di produrre preferenze e consenso per un preciso colore politico nelle cui liste riesce a far eleggere suoi collaboratori e pare pure capace di emarginare collaboratori che non tifino per lo stesso colore o sue sfumature]. Chi ha partecipato da dentro alla macchina elettorale di Cl racconta come fosse organizzata stile Pci vecchia maniera, tutti sapevano perfettamente le cinquine da votare e da far votare e quasi sempre i risultati confermavano le previsioni. Una macchina che finora ha conosciuto solo una defaillance, alle ultime comunali di Milano quando Cl non è riuscita a impedire all'arancione Giuliano Pisapia di vincere. I dietrologi sostengono che non sia stato casuale e che il Celeste non amasse Letizia Moratti e preferisse non averla tra le scatole in previsione dall'Expo ma la verità non è stata mai acclarata e comunque al momento opportuno Pisapia non ha onorato la presunta cambiale [CzzC: qui il Di Vico scivola nella fantapolitica errata, sbagliando pure nei numeri; Pisapia ha vinto anche perché la coalizione antagonista non poteva contare su altrettante persone intruppate modo Pci, non pare perché i Cl-lini lo abbiano favorito; quindi Pisapia non avrebbe onorato le cambiali supposte dal nostro articolista, semplicemente perché inesistenti e presunte solo da lui].

Il rapporto di Cl con la politica ha conosciuto molti passaggi. La venerazione per la figura di Giulio Andreotti, la creazione di un vero e proprio braccio operativo - il Movimento popolare - successivamente soppresso, l'appoggio incondizionato al Cavaliere [CzzC: il popolo di Cl ha appoggiato il governo del Cavaliere, ma non credo incondizionatamente: mi pare che molti Cl-lini, come del resto tanti elettori del centro-destra, Finiani compresi, abbiano votato per un governo del Cavaliere, turandosi il naso, come male minore] e il lungo ciclo formigoniano. Non si può dire che nessuna di queste esperienze si sia rivelata alla fine esaltante. Certo ha permesso al movimento di consolidarsi, di ottenere prebende, di reclutare manager e professionisti ma alla fine ha obbligato Cl a un'ordinaria manutenzione del consenso che ne ha appannato l'immagine e ne ha logorato la capacità di produrre innovazione politica. Lo stesso modello di organizzazione sembra conoscere dei limiti oggettivi tanto che alla fine produce buoni quadri ma non leader. Non stupisca quindi che oggi nel mondo cattolico c'è chi monta il paragone con la comunità di Sant'Egidio per sostenere che il modello leggero dei romani è più efficace e li ha dotati di un leader più in sintonia con i tempi come il ministro Andrea Riccardi.

Nessuno dentro Comunione e Liberazione contesta i risultati della Lombardia [CzzC: non occorre essere Cl-lini per non contestare i risultati della Lombardia, riconosciuti anche a livello internazionale], riconoscono tutti a Formigoni di aver governato bene e di aver dato seguito ad alcune idee-chiave del movimento come la sussidiarietà, la difesa della scuola privata, il sistema dei voucher, [CzzC: e se fossero proprio questi successi, in chiave dottrina sociale della Chiesa cattolica invisa a certi labari, la causa della virulenza dell'attacco mediatico-giudiziario a Formigoni ed affini?], ma ciò non impedisce di aspettarne con trepidazione l'uscita di scena. Camillo Langone sul Foglio di ieri ha rivolto addirittura un appello a Carrón «a staccare la spina», a lasciare esplicitamente la Celeste Zavorra al suo destino. In molti dentro Cl si vantano di lavorare perché non nasca una lista Formigoni, giudicata un'autentica fesseria che poteva venire in mente solo a un uomo che ha dimenticato la testimonianza ed è carico di volontà d'egemonia. Verrà il giorno in cui, senza che canti nessun gallo, anche i manager da lui nominati lo disconosceranno ma del resto è destino dei potenti che accada così. I primari ciellini in Lombardia sono almeno trenta e si parla di almeno 3 mila medici appartenenti al movimento. Come riusciranno a garantirli tutti? [CzzC: non so se siano veri questi numeri, ma se anche lo fossero, mi chiedo perché non troviamo altrettanta solerzia nel Corriere (figurarsi nei giornali di De Benedetti e nelle TV simil tifanti) a contare le percentuali di primari, di medici, di magistrati, di manager della PA, di banchieri legati a partiti di un noto colore, alle relative associazioni se non addirittura ad associazioni semisegrete di certe matrici della cultura dominante?].

Nonostante un ciclo politico di 17 anni al potere della più importante regione italiana non esiste un filone di «ciellelogi», come invece esiste una nutrita schiera di «legologi». La spiegazione più semplice è che il Carroccio tutto sommato è un partito facile da interpretare mentre il singolare intreccio di fede, welfare e politica rappresentato dal movimento dei seguaci di don Giussani non si presta. Nei confronti di Cl però non mancano i nemici giurati: c'è chi l'accusa di non avere una contabilità trasparente, c'è chi la paragona a una vera e propria setta con i suoi adepti e a Milano negli ambienti sanitari, bancari e universitari c'è una corrente di avversione che accusa Cl di pianificare le carriere, organizzare assunzioni ad hoc, far scivolare la pratica comunitaria in vero e proprio clientelismo molecolare. [CzzC: mi chiedo se sia lecito lasciar intendere un "c'è chi accusa ... " come se fosse tutto vero e soprattutto come se fosse reato imputabile direttamente al movimento di Cl. E' evidente che Cl in Lombardia abbia più aderenti che altrove, anche politicamente, e dunque possano emergere carriere ed affari correlati con legami Cl-lini, ma ciò non autorizza ad alludere a favoritismi criminali sistematici imputabili a quel movimento ecclesiale; convengo che appaia più scandaloso un eventuale ingiusto favoritismo commesso da chi si definisce cattolico molto praticante, ma il giornalista laico dovrebbe ben sapere che il malcostume del favoritismo politico è aduso da altri con cinismo e frequenza messi assai meno sotto i riflettori di certa stampa. Cosa dovremmo dire, ad esempio, noi in Trentino, Regione ottimamente governata, dove la gestione politico-clientelare sarebbe così blindata da far scrivere a qualcuno che sarebbe la regione più sovietica del mondo e a qualche altro, non tifante il potere dominante, di patire difficoltà tali da analogarne la causa a stili mafiosi di gestione del consenso fino ad esclamare "che fai? mi cacci?". Porto una testimonianza diretta per ridire quel che dicono tutti e cioè che, salvo rare eccezioni, il consenso politico al potere dominante paga in facilitazioni più dell'avversione al medesimo: conobbi un ingegnere che lasciò l'IBM per un'avventura informatica fallimentare a seguito della quale si riciclò in una cooperativa colorata della sua Regione (Emilia Romagna) dove lo incontrai in fiera a Bologna: sapendolo preferire colori politici meno vivaci, gli chiesi come mai ed egli mi rispose "da queste parti se vuoi lavorare devi passare per di qui"].

«Siamo un ascensore sociale» ebbe a dire qualche tempo fa un giornalista ciellino [CzzC: mi parrebbe un po' strabico quel giornalista se intendeva riferirsi al movimento di Cl, che, invero, mi pare prospetti il sacrificio dell'impegno più del guadagno facile, e che non pare abbia nei suoi proclami promesse di coperture o ascensioni sociali del tipo che invece leggiamo in associazioni di labari tanto potenti che quasi nessuno osa indagarle: ad esempio vedi come questa invita a venire nei suoi templi, per mirabili fini filantropici ovviamente, promettendo di assaporare i dolci frutti delle forze combinate e concentrate dell'affiliazione]. «Se anche l'amicizia in Italia diventa un reato io emigro» gli fa eco un parlamentare, che per spiegare il funzionamento della rete di monitoraggio e assistenza racconta come don Giussani una volta si era recato in Sicilia e aveva conosciuto dei produttori di vino ad Alcamo. Tornato a Milano aveva dettato i compiti ai suoi: «I nostri amici siciliani fanno un vino fantastico e noi dobbiamo aiutarli a venderlo».

A rendere stabile l'aiuto alle imprese è nata la Compagnia delle Opere che ha conosciuto nel tempo un discreto successo, si è imbattuta in più di qualche disavventura giudiziaria (come quella di ieri a Bergamo) ma non è quella macchina da guerra che spesso viene dipinta. [CzzC: qui mi pare che il Di Vico dia abilmente una pennellata di rimedio onde dissimulare la sua sbilanciatura]. Solo per avere un termine di paragone aderiscono alla Cdo 36 mila imprese mentre l'associazione degli artigiani di matrice cattolica, la Confartigianato, ne rappresenta 700 mila.

Dario Di Vico

@dariodivico17 ottobre 2012 | 8:52© RIPRODUZIONE RISERVATA