MARTIRI ALBANESI: nel sangue hanno testimoniato la fede
padre Fozzer ricorda le persecuzioni patite dai suoi compagni, dai superiori, dai seminaristi, dai suoi alunni, che con il popolo albanese condivisero la prigionia, la tortura, fino al patibolo. “Io non ho sentito le scariche dei fucili che ammazzavano i miei compagni, i miei superiori, i miei amici, i miei alunni, perché ero in Italia. Non ho sentito con le orecchie il loro ultimo grido: 'Viva Cristo Re'. Ma lo porto nel cuore”.
[Pagina senza pretese di esaustività o imparzialità, modificata 30/03/2020; col colore grigio distinguo i miei commenti rispetto al testo attinto da altri]
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“Solo il Signore sa se ho davvero confessato la fede evangelizzando”. A dispetto dei suoi 100 anni, per portare la sua testimonianza alla veglia missionaria in Duomo, si alza in piedi, padre Luciano Fozzer. Il gesuita, missionario in Albania, negli anni prima e dopo la caduta del sanguinario regime di Enver Hoxha, si affida alla lingua albanese per un saluto “ai miei carissimi fratelli e sorelle albanesi”. Offre una testimonianza di 60 anni di vita vissuta in missione, nell'insegnamento ai seminaristi e ai ragazzi del collegio, spaziando dalla letteratura alle materie scientifiche alla ginnastica. “Ma tutto questo è forse professare la fede evangelizzando? Chi ha davvero testimoniato la fede sono stati soprattutto i confratelli della missione 'volante'. Quei santi vivevano tutto l'inverno con i poveri contadini sulle montagne, evangelizzando, istruendo, cercando di portare la pace, dove c'era odio e vendetta. Quanti 'sangui' – questo era il termine - hanno asciugato! L'Albanese sentiva nel cuore il bisogno di pagare il sangue con il sangue, secondo il Kanun, il codice elaborato ancora al tempo della dominazione turca perché ci fosse un po' di giustizia e di pace”.
Dei 45 anni di dittatura, padre Fozzer ricorda le persecuzioni patite dai suoi compagni, dai superiori, dai seminaristi, dai suoi alunni, che con il popolo albanese condivisero la prigionia, la tortura, fino al patibolo. “Io non ho sentito le scariche dei fucili che ammazzavano i miei compagni, i miei superiori, i miei amici, i miei alunni, perché ero in Italia. Non ho sentito con le orecchie il loro ultimo grido: 'Viva Cristo Re'. Ma lo porto nel cuore”.