modificato 13/11/2017

 

La condizione della donna nell’Islam varia tra paesi e culture

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Pagina senza pretese di esaustività o imparzialità: contrassegno miei commenti in grigio rispetto al testo attinto da altri.

 

Si va dal considerare la donna come strumento di riproduzione asservita all’uomo (culture dell’Africa orientale, Sudan, Somalia, Eritrea), a quelle dell’Africa del nord (Marocco e Tunisia in particolare) dove alle donne viene riconosciuta una quasi parità dei diritti.

 

 

 [CzzC: trassi dal sito http://www.miradouro.it/node/58942 che rimanda a Cultura cattolica]

 

di Gianfranco Trabuio

Tratto dal sito Cultura cattolica il 20 agosto 2012

(prima puntata)

L’approccio all’analisi della condizione della donna nell’Islam è piuttosto complesso.

Infatti, bisogna avere più punti di riferimento per spiegare a un pubblico occidentale e nella fattispecie cattolico, quale sia oggi nelle varie comunità islamiche la condizione femminile.

È necessario considerare la notevole diversità di queste condizioni nei vari paesi e nelle varie culture.

Si va dal considerare la donna come semplice strumento di riproduzione della specie e di totale servizio all’uomo come nelle culture dell’Africa orientale (Sudan, Somalia, Etiopia, Eritrea), dove alle donne viene praticata l’infibulazione come elemento della loro identità; alle culture dell’Africa del nord (Marocco e Tunisia in particolare) dove alle donne viene riconosciuta una quasi parità dei diritti.

Non avendo a disposizione un ciclo di seminari su questi aspetti, è conveniente fermarsi in prima battuta a ciò che è contenuto nel Corano riguardo alla concezione originaria dell’Islam sulla donna.

Già sono note alcune difficoltà interpretative dei testi coranici per il fatto che le Sure del Corano non sono ordinate in senso cronologico, ma esclusivamente in ordine di lunghezza del testo. Già è noto che la parola che Allah ha rivelato al profeta Muhammad è profondamente diversa tra i due periodi storici durante i quali il Profeta dettò ai suoi primi seguaci gli insegnamenti ricevuti.

Infatti, le sure che gli studiosi islamici attribuiscono al periodo “Meccano” (le prime sure in ordine di tempo ricevute a La Mecca), sono profondamente diverse da quelle ricevute nel periodo “Medinese” (a Medina si era rifugiato per fuggire alle ire della sua tribù di origine).

Mentre le prime Sure sono impostate in senso mistico e di grande ispirazione divina simile all’Antico Testamento e contengono riferimenti alla Vergine Maria e a Gesù (considerato un profeta e non figlio di Dio), le seconde, quelle di Medina, risentono di tutto l’odio possibile contro gli ebrei e contro i cristiani dell’epoca e di quella città, perché semplicemente non credevano a quanto Muhammad predicava. (Infatti furono tutti assassinati gli ebrei di Medina).

È importante ricordare che ancora oggi è fatto divieto dalle autorità islamiche, in particolare dall’Università Al Hazar del Cairo (Egitto), di procedere ad una qualunque analisi ermeneutica dei testi delle sure. Chi tenta una simile operazione, e nelle Università è la cosa più naturale che si fa, viene denunciato per apostasia e condannato a morte. Oggi è ancora così.

Ecco perché è importante sapere questi antefatti prima di procedere a qualunque conoscenza dell’Islam.

Il Corano è intangibile da mani non purificate, è scritto in arabo e si deve recitare in arabo; diversamente la preghiera non è valida.

Il Corano è stato “dettato” al Profeta attorno all’anno 620 della nostra era cristiana, e per quella cultura beduina nomadica e mercantile. Oggi dopo 1400 anni gli imam affermano che non è possibile contestualizzare quegli insegnamenti nella nostra epoca. Chi ci ha provato, o è stato assassinato, o è dovuto riparare in Europa o negli Stati Uniti.

Con una immagine molto significativa, il noto gesuita arabo Khalil Samir, afferma che mentre il Vangelo per noi cristiani è la parola (Verbo) di Dio incarnata, il Corano è la parola (Verbo) di Dio incartata. Nel senso che mentre Gesù, figlio di Dio, è entrato nella storia dell’uomo per portarlo alla salvezza e quindi si è fatto uno di noi, per l’Islam Dio non è padre né altra cosa tangibile, è parola increata, non ha nessun contatto con l’uomo, è solo lontano, inaccessibile, irraggiungibile. La sua Parola, cioè il Corano, è contenuta nella madre del libro che scolpita in parole d’oro è conservata in cielo presso Allah.

Fatte queste semplici premesse vediamo di analizzare la situazione della donna nell’Islam in una simulazione di domande e risposte, avendo come testo di riferimento il Corano e gli hadith (editti) del profeta Muhammad.

È vero che nell’Islam l’uomo viene ritenuto superiore alla donna? O è un luogo comune? Su che cosa si fonda questa affermazione?

Nel Corano viene affermata esplicitamente la superiorità dell’uomo sulla donna, ma anche il suo dovere di tutelarla. Il versetto 228 della seconda sura detta “della Vacca”, afferma che «gli uomini sono superiori alle donne» o letteralmente «sono un gradino più in alto», e il versetto 34 della quarta sura detta “delle Donne”, dice che «gli uomini hanno autorità sulle donne a causa della preferenza che Dio concede agli uni rispetto alle altre, e perché spendono per esse i loro beni». Da queste affermazioni è derivata una tradizione secolare che dà al marito un’autorità pressoché assoluta sulla moglie, confermata anche da vari hadith.

È bene notare che nella sura delle Donne appena ricordata la superiorità maschile è legata sia alla preferenza divina, sia a una motivazione di carattere economico, anche se questo secondo aspetto viene spesso lasciato in ombra dagli esegeti e dai giuristi. In sostanza si afferma che l’autorità maschile deriva anche dal fatto che l’uomo assicura alla donna il mantenimento.

Ma è lecito chiedersi se questa autorità può ritenersi ancora fondata quando l’uomo non provvede più al mantenimento della donna, ad esempio perché, come avviene sempre più frequentemente in epoca moderna, essa lavora e quindi: è autosufficiente o, talvolta, provvede lei stessa al mantenimento del marito e della famiglia.

Ma un altro aspetto interessante è affermato, sempre nello stesso versetto 34: “… quanto a quelle di cui temete atti di disobbedienza, ammonitele, poi lasciatele sole nei loro letti, poi battetele; ma se vi ubbidiranno, allora non cercate pretesti per maltrattarle; ché Iddio è grande e sublime”.

Questo è molto importante saperlo, perché non è un semplice dato culturale legato a quel tempo, è contenuto nel sacro testo dell’Islam, è parola di Allah, e non può essere messa in dubbio: è una regola.

Da parte di molti intellettuali, anche cattolici, si ritiene ci sia una certa somiglianza tra le affermazioni coraniche che stabiliscono l’autorità dell’uomo sulla donna e alcuni passi della Lettera di Paolo agli Efesini. Cosa c’è di vero in questo?

Affermare che Paolo attribuisce all’uomo un’autorità sulla donna paragonabile a quella indicata dal Corano è frutto di una lettura scorretta del capitolo 5 della Lettera agli Efesini.

Se si esaminano i versetti 21-33, che racchiudono il testo generalmente chiamato in causa, relativo alla relazione tra marito e moglie, si trova che la struttura formale di questi 13 versetti ci indica già lo scopo di Paolo. Dapprima viene affermato un principio generale: «Siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo» (v. 21). Seguono tre versetti (22-24) che si rivolgono alle donne e altri otto (25-32) indirizzati agli uomini, e alla fine un versetto conclusivo (33) chiarisce l’atteggiamento richiesto a ciascuno dei due. Da questa struttura si deduce che il senso delle parole di Paolo è un’esortazione rivolta agli uomini piuttosto che alle donne.

Alle mogli Paolo dice di essere sottomesse ai mariti come la Chiesa lo è rispetto a Cristo. Ai mariti Paolo raccomanda di amare le loro mogli «come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei», usando cinque volte il verbo amare. Ed ecco la conclusione: «Quindi anche voi, ciascuno da parte sua, ami la propria moglie come se stesso, e la donna sia rispettosa verso il marito».

Esaminando adesso le parole nel loro contesto storico per vedere qual è la novità nell’insegnamento di Paolo, si trova che, quando parla alle donne egli non sta introducendo alcun precetto nuovo: infatti la tradizione mosaica, quella ellenistica e quella romana avevano stabilito il principio della sottomissione della donna. La novità sta nel come, e Paolo specifica che si deve prendere ad esempio la sottomissione della Chiesa a Cristo, una sottomissione d’amore, spirituale, e non quella di una schiava al suo padrone. Perciò, nella conclusione, avendo chiarito il concetto, parla di «rispetto».

Quando invece si rivolge ai mariti, li esorta ad amare le loro mogli come Cristo ha amato la Chiesa, offrendo la propria vita per lei. Probabilmente, allora come oggi, c’era un problema di mancanza di amore dell’uomo per la sua donna, e Paolo diceva al riguardo cose nuove: voi donne, che siete sottomesse ai vostri mariti, lo dovete fare come la Chiesa a Cristo, in un legame di amore; e voi uomini, imparate ad amare le vostre mogli. Si tratta di forme diverse di un unico amore.

La stessa prospettiva viene utilizzata quando Paolo dice che Cristo era sottomesso al Padre e obbediente a Lui fino alla morte e alla morte in croce. Per l’apostolo, in questa prospettiva, l’obbedienza e la sottomissione non sono un atto di inferiorità umiliante ma un atto di deferenza; prova ne è che Cristo non è affatto inferiore a Dio, ma consustanziale con Lui.

In conclusione, mentre nella concezione cristiana l’uomo e la donna sono messi su un piano di sostanziale parità, in quella musulmana si stabilisce una differenza a livello ontologico, come affermano ancora oggi gli autori musulmani che presentano il ruolo della donna nell’Islam spiegando che essa, essendo per sua natura più debole fisicamente, più fragile psichicamente e più emotiva che razionale, è inferiore all’uomo e deve sottostare a lui.

 

di Gianfranco Trabuio

Tratto dal sito Cultura cattolica l'8 settembre 2012

(seconda puntata)

Un approccio corretto alla conoscenza della antropologia culturale di popolazioni diverse da quelle occidentali, deve necessariamente fare riferimento alla religione di quelle popolazioni.

La dimensione religiosa è certamente quella più importante e più pervasiva presso tutti i popoli, per l’Islam addirittura è la religione che regolamenta anche la vita civile, il diritto civile e penale, la politica.

Come avremo modo di vedere in altri articoli, la concezione occidentale dei diritti universali dell’uomo, come deliberati dall’ONU, non trova riscontro nelle legislazioni dei paesi musulmani. Tanto meno dopo le recenti rivoluzioni popolari che hanno portato al potere i partiti di ispirazione fondamentalista, rigidamente ancorati alla legislazione di derivazione coranica.

Prima di continuare nella descrizione di come la donna è vista nella religione e nella cultura islamica è opportuno illustrare, anche se brevemente, cosa si trova nei testi sacri dell’Islam, per esempio negli Hadith (sentenze) del profeta.

La considerazione di Muhammad per le donne

Dagli Hadith (Editti) del profeta.

Sahih Muslim Hadith 142, narrato da Abdullah bin Umar.

Il Messaggero di Allah osservò: “O donne, dovreste dare la carità e chiedere tanto perdono, giacché vi ho visto ammassate fra gli abitanti dell’Inferno”.

Fra le altre, una donna saggia disse: “Perché, Messaggero di Allah, saremo ammassate nell’Inferno?”

Il Santo Profeta in merito a questa domanda, osservò: “Bestemmiate troppo e siete ingrate ai vostri sposi. Non ho visto alcuno venire meno al senso logico e non rispettare la religione e, allo stesso tempo, rubare la saggezza del saggio, eccetto voi”.

La donna puntualizzò: “Cosa c’è di sbagliato nel nostro senso logico e nella nostra religione?”

Egli (il Santo Profeta) rispose:” la vostra mancanza di senso logico è confermata dall’evidenza che due donne equivalgono ad un uomo, e dal fatto che trascorriate delle notti (e dei giorni) in cui non offrite le vostre preghiere e che nel mese di Ramadan (durante il giorno) non osservate il digiuno, il che vuol dire non rispettare la religione”.

Sahih Al Bukhari, Hadith 3826, narrato da Abu Said Al Khudri

Il Profeta disse: “Non è vero che la testimonianza di una donna equivalga alla metà di quella di un uomo?”

La donna rispose: “Sì”.

Lui disse: “Il perché sta nella scarsezza di cervello della donna”.

Sunan di Dawood, Hadith 2135, narrato da Qays bin Sa’d

Sono andato ad al-Hirah ed ho visto le persone prostrarsi davanti al proprio satrapo, così dissi: “L’Apostolo di Allah (che la pace sia con Lui) ha più diritto di ricevere prostrazioni dinanzi a Lui”-

Quando venni al Profeta (che la pace sia con Lui), dissi: “Sono andato ad al-Hirah e li ho visti prostrarsi innanzi al proprio satrapo, ma tu hai più diritto, Apostolo di Allah, ad avere persone prostrate innanzi a te. ”

Lui disse: “Dimmi, se ti trovassi a passare vicino alla mia tomba, ti prostreresti?”

Io dissi: “No”.

E dopo disse: “E non farlo. Se mai dovessi comandare qualcuno di prostrarsi, comanderei le donne a prostrarsi innanzi ai loro mariti, a motivo del diritto speciale datogli da Allah.

L’affermazione sulla inferiorità della donna rispetto all’uomo, ha conseguenze importanti per la vita di tutti i giorni

Non ci si riferisce qui alle disuguaglianze che possono esistere a livello sociologico tra uomo e donna, queste sono purtroppo diffuse in tutte le società, nel mondo musulmano come in altre culture o civiltà. È necessario parlare della disuguaglianza giuridica, che ha delle conseguenze durature perché è normativa, spesso impedendo o comunque ritardando qualunque adeguamento alla mentalità dei musulmani e delle musulmane di oggi.

Come ho già scritto nella prima puntata, non è pensabile in questa sede di fermarsi sui singoli paesi musulmani, la descrizione è di carattere generale ma riguarda tutti quei paesi.

1. C’è anzitutto una disparità nella possibilità di contrarre il matrimonio. All’uomo viene riconosciuta la possibilità di avere contemporaneamente fino a quattro mogli (poligamia), mentre alla donna viene negata la facoltà di sposare più di un uomo (poliandria). La poligamia legalmente sancita significa una differenza radicale tra uomo e donna. All’uomo dà la sensazione che la donna è fatta per il suo piacere e, al limite, che è una sua proprietà che può “arare” come vuole, come afferma letteralmente il Corano (sura della Vacca II, 223).

Se ha la possibilità materiale, ne “acquista” un’altra. La donna si trova in una condizione di sottomissione nel ruolo di oggetto di piacere e di riproduzione; questo ruolo è confermato dal fatto che non viene mai chiamata con il suo nome, ma sempre in relazione a un uomo: figlia di..., moglie di...,

2. La donna musulmana non può sposare un uomo di un’altra fede, a meno che questi non si converta prima all’Islam. Il divieto è dovuto al fatto che, nelle società patriarcali orientali, i figli adottano sempre la religione del padre. Ma è anche giustificato dal fatto che il padre è il garante dell’ educazione religiosa dei figli, e quindi solo se è musulmano può assicurare la loro crescita secondo i principi islamici. Ricordo a questo proposito che i figli nati da un musulmano sono considerati a tutti gli effetti musulmani, anche se battezzati. Perciò ogni matrimonio misto (tra un musulmano e una cristiana o un’ebrea, gli unici due casi contemplati nella sharia) accresce numericamente la comunità musulmana e riduce la comunità non musulmana. Non mi soffermo in questa sede per approfondire questo argomento così tragico per le conseguenze delle mogli cristiane sposate a un musulmano. I fatti di cronaca sono lì a dimostrare quanta leggerezza, e ignoranza, ci sia da parte delle nostre donne e da parte della Chiesa cattolica nel contrarre e nel concedere la dispensa per questi matrimoni misti.

3. Il marito ha la facoltà di ripudiare la moglie ripetendo tre volte la frase «sei ripudiata» in presenza di due testimoni musulmani maschi, adulti e sani di mente, anche senza ricorrere a un tribunale. La cosa più assurda è che se il marito dovesse in seguito pentirsi della sua decisione e intendesse “recuperare” nuovamente sua moglie, quest’ultima dovrebbe prima sposarsi con un altro uomo che dovrà a sua volta ripudiarla. La donna passa in tal caso di mano in mano per rispettare formalmente la Legge. La moglie invece non può ripudiare il marito. Potrebbe chiedere il divorzio, che però diviene per lei motivo di riprovazione e la mette in una condizione sociologica molto fragile. Il ripudio è comunque vissuto come un’umiliazione per la donna e si presume sempre che lei abbia qualche problema a livello fisico o morale.

Infine, la facilità con la quale il marito può ripudiare la moglie senza dover giustificare la decisione, la rende totalmente dipendente dal suo stato d’animo, con il costante timore di essere allontanata. È come una spada di Damocle che pende sulla sua testa: se non si comporta secondo il desiderio del marito potrebbe essere ripudiata, e allora dovrà cercarne un altro che accetti di pren-derla con sé.

4. In quarto luogo c’è da considerare la facilità con cui si ottiene il divorzio, che avviene quasi sempre su richiesta dell’uomo. Tradizionalmente, non c’è neppure bisogno di andare in tribunale. È vero che un hadith di Muhammad, il Profeta, dice che «il divorzio è la più odiosa delle cose lecite», ma comunque è permesso.

5. L’affidamento della prole, in seguito al divorzio, è un altro esempio di disuguaglianza. I figli “appartengono” al padre, che decide della loro educazione, anche se sono provvisoriamente affidati alla madre fino all’ età di sette anni. Solo il padre ha la potestà genitoriale.

6. C’è poi la questione dell’eredità. Alla femmina ne spetta la metà del maschio, un provvedimento che trova fondamento nella situazione socio-economica in cui la famiglia viveva anticamente: dato che, secondo il Corano, è l’uomo che ha l’obbligo di mantenere la donna e l’intera famiglia, era logico che dovesse disporre di un piccolo fondo a cui attingere. Anche in questo caso una disuguaglianza fissata dalla legge divina aumenta la dipendenza della donna dall’uomo.

7. Una settima differenza a livello giuridico è che la testimonianza del maschio vale come quella di due femmine. Questo si basa su un hadith di Muhammad, molto diffuso negli ambienti musulmani nonostante la sua autenticità sia piuttosto discussa, in cui si afferma che «la donna è imperfetta nella fede e nell’intelligenza».

Quando si chiede ai fuqaha, agli esperti della legge, di spiegare il motivo rispondono che la donna è imperfetta quanto alla fede perché, in certe situazioni, ad esempio durante le mestruazioni, la sua preghiera e il suo digiuno non sono validi e la sua pratica religiosa è dunque imperfetta.

Riguardo la seconda parte dell’affermazione – l’“imperfezione” nell’intelligenza- forse un tempo questo poteva essere spiegato sociologicamente tenendo presente che le donne studiavano meno, che erano meno coinvolte nella vita sociale e dedite soltanto ai lavori domestici, ma da tempo tutto ciò non vale più. Eppure nella maggioranza dei tribunali dei Paesi islamici vige ancora questo principio nonostante le proteste delle associazioni femministe.

In alcuni Paesi i fondamentalisti chiedono anche che alle donne sia vietato di fare da testimoni nei processi in cui sono previste le pene coraniche.

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