ultima modifica il 09/03/2021

 

Padre Livio Passalacqua 50 anni a Villa S.Ignazio

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Pagina senza pretese di esaustività o imparzialità: contrassegno miei commenti in grigio rispetto al testo attinto da altri.

 

02/08/2012 trassi da Vita Trentina #31 del 05/08/2012        

Pag 11: Chiesa a cura di Roberto Moranduzzo

31 LUG2012

 “Resta l'amore. Il resto è nebbia, fame di vento”

Villa S. Ignazio, sulla collina di Trento, è immersa nel verde. Nei corridoi, di prima mattina, c’è un discreto via vai di giovani, ragazze e ragazzi dallo sguardo bello. Quand’è arrivato a Trento, 50 anni fa, PADRE LIVIO PASSALACQUA era al suo primo compito di responsabilità piena, alla prima nomina da parte dell’ordine dei gesuiti.

«Oggi, quella cristiana è un’avventura liberante, per chi annuncia e per chi riceve l’annuncio» ...

50 anni trascorsi a Villa S.Ignazio e 50 anni fa anche il Concilio…

Bella coincidenza. Le cose grandi con le infinitesimali. Il Concilio. Il Concilio ce l’avevo già dentro. Era come se uno fosse vissuto in affido e poi arrivano i genitori e sente che quelli sono i suoi genitori. Molte espressioni di chiesa, allora, erano preoccupate, si trattava di risposte a problemi del passato non del presente. Il Concilio è stato un atto di coraggio della chiesa. Una meravigliosa risposta alle sfide e alle ansie del mondo. Una ventata d’aria fresca. Il genitore che ha cercato di parlare con il figlio.

Quando è arrivato a Trento si è trovato davanti una società – per dirla con Benedetto Croce - naturaliter christiana E oggi?

Il naturaliter è ambiguo. Abitualmente cristiana, protettivamente cristiana. Le valli aiutavano a conservare, c’era come una predisposizione a barricarsi, a chiudersi, a ripetersi. Poi l’università, il turismo, le fabbriche e i sindacati hanno contribuito ad aprire. Oggi, quella cristiana è un’avventura liberante, per chi annuncia e per chi riceve l’annuncio. Con tante difficoltà, certamente. Ma non abbiamo tanti carichi da portare e tante carovane da difendere. E’ una chiesa più snella e più povera. Siamo, direi, dei perdenti che hanno il futuro davanti.

...

Perché Villa S.Ignazio ha sempre attratto e ancora oggi attira tante persone, forse perché dà un po’ l’immagine di una Chiesa accogliente, rispettosa e dialogante?

E’ una cassa di risonanza, sono persone un po’ esigenti, più ricercanti. Magari poi trovano tentativi di risposta inadeguati o anche rispondenti alle domande che hanno dentro. Ci siamo lasciati trasportare dai venti, siamo sempre stati curiosi di sapere che cosa portavano quei venti. Questo ci ha obbligato a giocare su tanti tavoli; e spiega l’esistenza oggi di tante nostre piccole associazioni. Sono tentativi di risposta a qualche cosa di nuovo. Ciò vale nell’ambito del sociale, nel campo spirituale e psicologico, nel rapporto con il laicato, tutto il laicato e in special modo con i credenti (i cristiani meglio, perché non esiste una persona non credente in assoluto). Ci rendiamo conto con maggiore nitidezza che la Chiesa è del laicato [CzzC: qui si lascia tradire dalle sue nostalgie per il 68 e per la teoglib: invece sappiamo che la Chiesa cattolica è di tutti i suoi fedeli, con diverse responsabilità e Ministeri speciali tra guide e i guidati; spero che non tenti di inculcarci, come i protestanti, che non servirebbero la guide istituzionali nella Chiesa], coadiuvato dai presbiteri e questo vale anche viceversa.

 

Qual è il messaggio più stringente di Ignazio di Loyola per le donne e gli uomini del nostro tempo?

Il messaggio è che la fede è personale, è cura personalis. Non è questione di masse, ma del rapporto della persona con il Signore e con gli altri uomini. ... [CzzC: è anche questione di comunità, di popolo, e quindi di responsabilità gerarchiche; sono i protestanti che vedono essenzialmente il rapporto personale con Dio] ...

 ... Il pensiero commosso va alle testimonianze di fede di chi è caduto “nel solco” per la sua vicinanza con gli oppressi come il padre Ignacio Ellacuria e gli altri cinque gesuiti massacrati a San Salvador nel novembre 1989 così come di padre Rutilio Grande, amico fraterno di mons. Romero, assassinato nel 1977 [CzzC: avrebbe potuto ricordare insigni santi gesuiti, ma perdura la nostalgia per il ‘68 e per la teoglib; peraltro mons. Romero non approvava gli eccessi marxisti dei teogliboni]

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P. Livio, dalla sua età ed esperienza, guardandosi indietro, della vita breve cosa resta?

(Abbassa lo sguardo, poi parla lentamente, soppesando bene ogni singola parola).

Resta l’amore. Quello che mi sono lasciato amare da Lui e quel poco che ho saputo amare. Resta quel che è stato fatto con amore. Amore, questa parola così abusata, ma che vuol dire: volere il bene. Dedicarsi allo scambio, neanche solo al dare, ma anche al ricevere. Me ne accorgo anche adesso ad 87 anni: magari quella persona che è venuta da me è stata aiutata a risolvere qualche piccola sofferenza, ma anch’io, quando esce da questa stanza, ho ricevuto qualcosa da lei. Sì, resta l’amore. Il resto è nebbia. Come dice il Qohelet, il resto è un immenso vuoto, è fame di vento.

Cosa attende?

Attendere niente. Essere aperti all’imprevisto. Un tramonto dorato, una sofferenza fisica, relazioni sempre vive, il silenzio, la solitudine, appena diventi invalido nessuno ti cerca più. I doni più belli ti vengono a 87 anni più un giorno. Se adesso p. Alberto Remondini si prenderà in mano tutto, io potrò dedicarmi completamente agli aspetti spirituali, al servizio spirituale, gli esercizi, i colloqui, l’aiuto alle persone.