[CzzC: ringrazio Carla che mi ha fornito questo testo il 19/03/2012]                                       [precedente: giudizio]

 

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù

composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J. [1]

TRATTATO IV. DELL'UNIONE E CARITÀ FRATERNA

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CAPO XV. Dei giudizi temerari; e si dichiara in che consista la malizia e gravezza di essi

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1. I giudizi temerari sono contrari alla carità.

2. Perché si infama il prossimo nel nostro cuore.

3. Altro averli, altro ammetterli.

4. E’ un usurpare la giurisdizione di Dio.

5. Specie se si giudica l'interno altrui.

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   1. «E tu, dice l'Apostolo S. Paolo, perché giudichi il tuo fratello, o perché disprezzi il tuo fratello?» (Rom. 14, 10). Fra le altre tentazioni colle quali il demonio, nemico del nostro bene, ci suole far guerra, una, e molto principale, è il metterci nella mente giudizi o sospetti contro i nostri fratelli, acciocché, levando da noi la buona opinione che di essi abbiamo, ne levi insieme l'amore e la carità, o almeno ci faccia raffreddare in essa. Per la medesima ragione abbiamo noi altri da procurare di resistere con molta diligenza a questa tentazione, tenendola per molto grave; poiché tocca un tasto tanto principale e delicato, quanto è la carità. Così ce ne avverte S. Agostino (S. Aug. De amicit. l. 2, c. 24): Se ti vuoi conservare in amore e carità coi tuoi fratelli, egli dice, prima d'ogni altra cosa bisogna che ti guardi molto dai sinistri giudizi e sospetti; perché questi sono il veleno della carità. E S. Bonaventura (S. BONAV. Stim. amor. p. 3, c. 8) dice: - Una peste sono questi giudizi, occulta e segreta, ma gravissima, la quale scaccia lontano da sé Dio e distrugge la carità dei fratelli.

 

   2. La malizia e gravezza di questo vizio consiste nell'infamare una persona il suo prossimo entro se stessa, disprezzandolo e stimandolo meno, e dandogli un basso e disonorevole luogo entro il suo cuore, per indizi leggieri e a ciò fare non bastevoli. Nel che fa torto ed ingiuria al suo fratello; e tanto sarà maggiore la colpa in questo, quanto la cosa della quale uno giudica il suo fratello sarà più grave e gl'indizi meno sufficienti.

   Si potrà ben comprendere la gravezza di questa colpa da un'altra simile. Se tu lacerassi la fama del tuo fratello presso d'un altro, facendo che quel tale perdesse il buon concetto e la buona opinione che prima aveva di lui, e così presso d'un tale venissi ad infamarlo, ben si vede che sarebbe questo un grave peccato. Or questo medesimo torto ed ingiuria gli fai col torgli presso di te, senza cagione e senza bastanti indizi, quel buon concetto e quella buona opinione che avevi tu di lui; perché tanto stima il tuo fratello l'essere in buona riputazione presso di te, quanto l'essere nella medesima presso qualunque altro. E in causa propria potrà ben ciascuno conoscere qual grave torto ed ingiuria fa egli in questo al suo prossimo. Non t'aggraveresti tu, che uno ti tenesse per tale, senza che n'avessi dato motivo bastante? Or così viene aggravato da te quell'altro col giudicarlo tu per tale. Misuralo da te stesso; ché questa è la misura della carità col nostro prossimo e della giustizia ancora.

 

   3. È però qui da avvertirsi che l'esser tentato di giudizi temerari è una cosa, e l'esser vinto dalla tentazione di essi è un'altra. Come siamo soliti di dire nelle altre tentazioni, che l'aver tentazioni è una cosa, e un'altra è l'esser vinto e il consentir in esse; e diciamo che non sta il male nella prima, ma nella seconda cosa; così qui non sta il male nell'esser uno molestato da pensieri di sinistri giudizi e sospetti; sebbene sarebbe meglio che avessimo tanta carità e amore verso i nostri fratelli, tal concetto di essi e tanta cognizione dei nostri propri difetti, che non si risvegliasse in noi il pensiero dei difetti altrui: ma finalmente, come dice S. Bernardo (S. BERN. De inter. domo, c. 8, n. 15), «non sta la colpa nel senso, ma nel consenso» e nell'esser vinto dalla tentazione; ed allora dice uno esser vinto dalla tentazione dei giudizi temerari, quando deliberatamente consente in essi, e per mezzo di quelli perde la buona opinione e il buon concetto che aveva del suo fratello, e non lo stima più come faceva prima; anzi entro se stesso lo disprezza, secondo le parole sopra citate dell'Apostolo S. Paolo.

   E in tal caso, quando si confessa, non ha da dire che gli sono venuti nella mente giudizi temerari contro il suo fratello; ma che ha consentito in essi e che è stato vinto dalla tentazione. E avvertono qui i teologi, che la persona si deve grandemente guardare di comunicar ad un altro il giudizio, o sospetto cattivo, che gli è venuto in mente del suo prossimo; acciocché non sia cagione che l'altro venga ad ammettere il medesimo giudizio e sospetto, o a confermarsi in quello, che forse gli era già venuto prima nella mente; perché è tanto cattiva la nostra inclinazione, che più facilmente crediamo il male dell'altro che il bene. Ed anche avvertono che nel confessarsi non deve uno manifestar la persona contro la quale ha avuto in mente il giudizio, come né anche la persona della quale si sia offeso per la tale o tal cosa che fece; acciocché non venga con questo a ingenerare a di lei pregiudizio nel confessore qualche cattivo sospetto, o qualche mal concetto. La circospezione e la cura che i dottori e i Santi vogliono che abbiamo dell'onore e della buona opinione del nostro prossimo è tanto grande; e tu vuoi per certi leggieri indizi levargli il buon concetto e la riputazione in cui era presso di te, e in cui ha naturale ragione e diritto di essere presso di tutti, mentre le sue azioni non fanno sufficiente testimonianza del contrario?

 

   4. Oltre l'ingiuria e il torto che in questo si fa al prossimo, contiene in sé questo vizio un'altra malizia e ingiuria grave contro, Dio; che è usurpare la giurisdizione e il giudizio che unicamente è proprio del medesimo Dio, contravvenendo a quello che dice Cristo nostro Redentore, come si legge nel Vangelo: «Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate, e non sarete condannati» (Luc. 6, 37). S. Agostino (S. AUG. De serm. Dom. in monte, l. 2, c, 18) dice che il Signore proibisce qui i giudizi temerari, quali sono giudicar l'intenzione del cuore, od altre. cose incerte ed occulte: perché Dio riservò a sé la cognizione di queste cause; e così comanda che noi non c'ingeriamo in esse. L'Apostolo S. Paolo dichiara questa cosa più in particolare scrivendo ai Romani: «Chi sei tu che condanni il servo altrui? Egli sta ritto o cade per il suo padrone» (Rom. 14, 4). Il giudicare è atto di superiore: quest'uomo non è tuo suddito: ha padrone lascialo giudicare a lui; non usurpar tu la giurisdizione di Dio. «Per la qual cosa non vogliate giudicare prima del tempo, fintantoché venga il Signore, il quale rischiarerà i nascondigli delle tenebre e manifesterà i consigli del cuore; e allora ciascheduno avrà lode da Dio» (I Cor 4, 5). Questa è la ragione che adduce l'Apostolo S. Paolo del non dover noi giudicare in simili cose; perché queste sono cose incerte ed occulte, che appartengono al giudizio di Dio; e così colui che s'intromette in giudicar queste cose usurpa la giurisdizione e il giudizio che unicamente appartengono a Dio.

 

   5.Nelle Vite dei Padri (De vit. patr. 1. 5, lib. 9, n. 11) si racconta di uno di quei monaci, che con alcuni indizi che vide, o udì, giudicò malamente di un altro monaco, e subito sentì una voce dal cielo che gli disse: Gli uomini si sono ribellati, e hanno usurpato il mio giudizio, e si sono ingeriti nella giurisdizione altrui. E se diciamo questo, e lo dicono i Santi ancora, delle cose che hanno qualche apparenza di male; che sarà di coloro che ancora le cose per se stesse buone le interpretano sinistramente, giudicando che si facciano con mala intenzione e per fini umani? Questo è più propriamente usurpare la giurisdizione e il giudizio di Dio; poiché ancora dentro i cuori degli uomini si vuole entrare e giudicar le intenzioni ed i pensieri occulti; il che è proprio solamente di Dio. «Vi siete fatti giudici di pensamenti ingiusti», dice l'Apostolo S. Giacomo (Iacob. 2, 4); e il Savio aggiunge che questi tali si vogliono far indovini, giudicando quel che non sanno e non possono sapere (Prov 23, 7).

 

 

 I TESORI DI CORNELIO A LAPIDE: Giudizio temerario.

1. Nessuno ha diritto di giudicare gli altri.  

2. Si giudica senza cognizione di causa.  

3. Chi giudica è giudicato.

4. Chi è senza colpa, lanci la prima pietra.  

5. Si è severi con gli altri e indulgenti con se stessi.  

6. Quanto s'inganni chi giudica temerariamente.  

7. Bisogna giudicare con prudenza.

8. Bisogna scusare il prossimo.

9. Invece di condannare chi sbaglia, avvertitelo caritatevolmente.

10. Chi è innocente non deve inquietarsi dei giudizi degli uomini.

 

1. NESSUNO HA DIRITTO DI GIUDICARE GLI ALTRI. - «Chi sei tu che porti giudizio sull'altrui servo?», domanda S. Paolo, e soggiunge: «Sappi che tocca al suo padrone il vedere se cade o se si tiene in piedi» (Rom. XIV, 4). «E in quanto al fratello, perché ti arbitri di giudicarlo?»  (Ib. 10). Egli è tuo simile, non tocca a te darne sentenza...

   Non meno chiaro paria a questo proposito S. Giacomo: «Vi è un solo legislatore e giudice il quale abbia potere di condannare e di assolvere. Ora tu chi sei, che giudichi il prossimo?» (IACOB. IV, 12-13).

   Sentenziare senza cognizione di causa e senza mandato è un'iniquità; sovente è un'ingiustizia e talvolta anche irreparabile...

 

   2. SI GIUDICA SENZA COGNIZIONE DI CAUSA. - Voi non conoscete punto colui che giudicate: non ne penetrate l'interno; non sapete quale intenzione l'abbia mosso, intenzione che forse lo giustifica. E dove il delitto suo sia manifesto, può ben essere che se ne penta, o che già se ne sia pentito; e chi sa che abbia ad essere uno di quelli che formeranno la gloria del cielo? «Non giudicate adunque», dice Gesù Cristo  (MATTH. VII, 1).

 

   3. CHI GIUDICA È GIUDICATO. - Quegli che giudica gli altri sarà giudicato; chi condanna sarà condannato... «Inescusabile sei, o uomo, chiunque tu sia, dice S. Paolo, che vuoi giudicare gli altri; sappi che in quello di che tu giudichi un altro qualunque, te stesso giudichi e condanni»  (Rom. II, 1). Sì, voi che temerariamente giudicate del prossimo, portate di vostra propria bocca sentenza di condanna contro voi medesimi...

   E prima dell'Apostolo, già apertamente aveva detto il Maestro: «Non giudicate e non sarete giudicati. Poiché quel giudizio che voi farete degli altri, sarà fatto di voi; e sarete trattati come avete trattato gli altri (MATTH. VII, 1-2).

  Voi che siete facili al giudicare, badate a quella sentenza del Savio: «Lo stolto, perché è stolto, pensa che tutti gli altri siano stolti e battano la sua medesima via» (Eccle. X, 3). Voi giudicate, e sentenziate degli altri come cattivi ed insensati, e non vi accorgete che altrettanto si pensa di voi. È la pena del taglione. Si ha il castigo che agli altri s'infligge... Ora qual vantaggio viene a voi dalla sentenza che portate contro gli altri, se condannando gli altri condannate voi stessi? Non giudicate adunque e non sarete condannati.. .

 

    4. CHI E' SENZA COLPA, LANCI LA PRIMA PIETRA. - Gesù chiuse la bocca a coloro che gli avevano condotto innanzi la donna adultera, e li rimandò scornati dicendo: «Chi di voi è senza peccato, le getti contro la prima pietra» (IOANN. VIII, 7). Così si dovrebbe rispondere a coloro che fanno da giudici del prossimo. Ah, non occupiamoci a

giudicare e condannare gli altri; piuttosto giudichiamo e condanniamo noi medesimi.

   Ci stia in mente che la carità sincera è paziente, benigna, non altezzosa, non invidiosa, non imprudente, non sguaiata, non impaziente; non disprezza, non s'adombra, non cerca il proprio utile, non prende nulla in mala parte; non gode dell'iniquità, ma si rallegra della verità. Sopporta tutto, tutto crede, tutto spera, tutto soffre. La carità non si arresta né si stanca per ostacoli (I Cor. XIII, 4-8).

   Ignorate voi come nascono nel vostro cuore i peccati? Vi nascono come i vermi in una carne corrotta. Sono concepiti nelle piaghe inveterate della nostra natura, nel fondo sventuratamente troppo melmoso e fecondo della nostra corruzione originale. Quindi, dato anche che non abbiate commesso mai le colpe che in altri rimproverate, è pur sempre vero che tali colpe e vizi esistono, impercettibili al presente se volete, ma in potenza nell'interno focolare della vostra corruzione; e chi vi assicura che un giorno non li traduciate in fatti, foss'anche solo con un pensiero di affetto? e allora non avrete voi, condannando il vostro fratello, dato sentenza contro di voi medesimi? E dato anche che non aveste mai a cadere nel misfatto che giudicate, voi non potete però chiamarvi scevro da certe debolezze e da certi falli ugualmente condannati dalla suprema verità, dal cui tribunale dipende la condotta dell'uomo. Poiché colui che ha detto: Tu non ucciderai, ha pure proibito di essere orgoglioso, vendicativo, impuro, di fare giudizi temerari...

   «Non si è mai commesso peccato così enorme da un uomo, dice S. Agostino, che ogni altro uomo non lo possa commettere, dove gli manchi l'assistenza del Creatore» (Confess.).

 

   5. SI È SEVERI CON GLI ALTRI E INDULGENTI CON SE STESSI. - I due vizi più comuni e più universalmente sparsi tra gli uomini, sono un eccesso di severità verso gli altri e un eccesso d’indulgenza verso di noi, come già osservava S. Agostino, ed energicamente esprimeva con quella sentenza: «Gli uomini sono una razza curiosa dei fatti altrui e spensierata di provvedere ai propri (De Civit. Dei)».

   «Perché vedi tu, dice Gesù Cristo, il fuscellino nell'occhio del fratello e non ti accorgi della trave nel tuo? E come hai tu faccia di dire a tuo fratello: Lascia ch'io ti cavi dall'occhio questa festuca, mentre porti nel tuo una scheggia? Ipocrita, togli prima la scheggia dall'occhio tuo, poscia trarrai la festuca dall'occhio di tuo fratello» (MATTH. VII, 3-5). Non si poteva tratteggiare più al vivo i due grandi difetti di cui trattiamo: giudicare a tutto rigore il prossimo e perdonare ogni cosa a se stesso; scorgere un moscerino nell'occhio altrui e non vedere il calabrone nel proprio; pavoneggiarsi della propria virtù, censurando indiscretamente le altrui azioni e coprendo con indulgenza i propri vizi; consecrare tutto lo zelo ad addentare il prossimo e procedere verso di sé con colpevole rilassatezza...

   Nei giudizi che portiamo sul nostro prossimo, in due modi  

pecchiamo: 1° sospettando che vi siano negli altri quei difetti che dobbiamo rimproverare a noi stessi; 2° trovando i vizi altrui più biasimevoli dei nostri. Da una parte noi affibbiamo al prossimo i nostri vizi, dall'altra li vediamo più enormi in esso che in noi. Nulla perdoniamo agli altri, tutto scusiamo in noi medesimi.

    La più dannosa ipocrisia è quella di menare le sferza su tutti. Si aspira a farsi nome di uomo incorruttibile che non adula e non risparmia persona; e non si bada a correggere se medesimo. Si notano i più leggeri difetti degli altri e si lasciano correre, senza neppure darsene per intesi, i più enormi vizi che deturpano noi medesimi. Non c’è persona più tenera e indulgente verso i suoi propri torti, di quei critici severi che non perdonano nulla agli altri.

    Quanto è comodo per molti il lasciar dormire la propria coscienza nei peccati e prendersela contro le colpe degli altri! tutt'occhi in quello che non li riguarda, sono poi ciechi per quello che vi è in loro. perché ciò? perché è usanza comune cercare le colpe vere od immaginarie del prossimo, dirne male e intanto mettersi dopo le spalle i propri difetti per non vederli, né condannarli e quindi non emendarsene.

 

   6. QUANTO S'INGANNI CHI GIUDICA TEMERARIAMENTE. - Per qual ragione mai lacerarsi scambievolmente con ingiusti sospetti? È un mostrarsi schiavo della più insolente curiosità, e non volesse Dio, che si prendessero tanti granchi e non si urtasse in tanti scogli, quante sono le indagini che si fanno e i giudizi che si recano! Ciascuno pretende di vedere ciò che è nascosto e decidere delle intenzioni. Questa smania di mettere bocca negli affari altrui, fa sì che si inventa su quel che non si vede; e siccome si ha la pretesa di non sbagliare mai, il sospetto diventa ben presto certezza; e si chiama convinzione quello che al più potrebbe sembrare una congettura. Quindi noi applaudiamo all'invenzione del nostro spirito e smisuratamente la sviluppiamo. Se, alimentata dai sospetti e dai giudizi temerari, la nostra collera si accende, noi non cerchiamo punto di spegnerla; perché, come nota S. Agostino, «a nessuno la sua collera pare ingiusta (De Morib. Eccl.)». Quindi l'inquietudine ci assale, e spinti da questa e dalla nostra diffidenza, ci attacchiamo spesso a un'ombra e assaliamo e combattiamo la verità per un'ombra. Scagliamo il colpo per timore che altri ci ferisca e già vendichiamo un'offesa che ancora non esiste, dice il medesimo padre (Ibid.). Vedete dove ci conducono l'errore e l'ingiustizia... .

 

   7. BISOGNA GIUDICARE CON PRUDENZA. - Nel giudicare del prossimo bisogna camminare a piè di piombo, non sentenziare a caso, ma ponderatamente. Quegli che voi credete caduto, può essere in piedi e quegli di cui tenete come certa e vicina la caduta, forse non inciamperà neppure... Quel tale di cui sospettate ogni sorta di colpe, potrà forse trovarsi collocato al di sopra di voi nel cielo; poiché, dato anche che sia veramente colpevole, conoscete voi la grazia che Dio gli riserva? Ponderate quella parola del Salvatore: «Vi dico in fede mia che i pubblicani e le cortigiane avranno su di voi la precedenza nel regno di Dio» (MATTH. XXI, 31). Bisogna andare cauti e lenti nei giudizi: 1° perché il mondo è molto maligno...; 2° è molto facile alla calunnia...; 3° inventa difetti...; 4° li aumenta e li trasforma...; 5° molte volte è ingiusto...; 6° opera per lo più per odio, per vendetta, per invidia, per capriccio, per malizia... Si osservi che Dio, parlando dei Sodomiti, per ammonirci di non essere troppo frettolosi a credere qualunque diceria, disse: «Io discenderò e vedrò»  (Gen. XVIII, 21).

   Non è raro che la malignità dia origine a una fama ingiusta e cattiva; la cattiveria la ingrandisce e la presenta come pura verità; è dunque agire da persona prudente. il non precipitare il giudizio su gli assenti, su l'avvenire, su l'incerto, ma riflettere seriamente, schiarire per quanto è possibile la cosa, e giudicare con grande assennatezza; perché gli occhi ci dànno ben altra certezza che non le orecchie, indotte sovente in errore da vani rumori. Bisogna interrogare testimoni giusti, coscienziosi, incorruttibili, come appunto faceva Giobbe il quale poté dire di se stesso: «Fino da fanciullo io cercava il vero; e con grande attenzione esaminava la causa che non conoscessi abbastanza».

   «Dio, agli occhi del quale tutto è nudo, scrive S. Gregorio, punisce i delitti dei Sodomiti, non per averne udito parlare, ma dopo di averli veduti (Moral.)». E noi sentenzieremo del prossimo dietro le ciarle di un maligno o di uno sciocco? «Non giudicate, dice il Crisostomo, fidati ad un sospetto; senza prima assicurarvi della cosa; non condannate persona prima di aver imitato Dio che disse: Io discenderò e vedrò (Homil. ad pop.)».

 

   8. BISOGNA SCUSARE IL PROSSIMO. - Non ci sfugga mai di mente il sensato ammaestramento di S. Bernardo: «Dove ti sia impossibile scusare l'azione, scusa almeno l'intenzione: supponi o ch'egli non abbia saputo, o che sia stato tratto in inganno, od abbia sbagliato per caso. Se poi la colpa è così certa che esclude ogni dubbio e non si può capire anche allora studiati di scusare il colpevole, dicendo a te stesso: La tentazione è stata troppo violenta. Chi sa quale scempio avrebbe fatto di me, se mi avesse assalito con la stessa violenza! (Serm. XL, in cantic.)».

   Furibondi contro Atanasio andarono un dì gli ariani, guidati da Lucio, dall'imperatore Gioviano, per calunniare e, possibilmente, per far condannare quel valoroso campione della fede. «Non mi parlate contro Atanasio, rispose loro l'imperatore; appunto perché le accuse datano da vent'anni, già si sarebbero dovute dimenticare; io so, del resto, e come e perché fu accusato la prima volta». Gli eretici ritornarono più volte all'assalto, ed una fra le altre giunsero a dire che, se Atanasio fosse ritornato alla sua Sede, la città sarebbe perduta. «Io mi sono accuratamente informato di tutta la faccenda, rispose Gioviano, e mi consta che Atanasio è ortodosso e ammaestra rettamente il suo popolo». - Questo è vero, replicarono gli accusatori; quel che dice è buono, ma nasconde nell'anima sentimenti perversi. - «Se voi medesimi, soggiunse l'imperatore, ammettete che egli non insegna nulla che non sia buono, questo ci basta; tocca a Dio giudicare del cuore; noi uomini dobbiamo giudicare dalle parole». - Ma, Signore, egli chiama noi eretici e novatori. - « Bene sta, è suo dovere, come è dovere di tutti quelli che vegliano alla conservazione della sana dottrina, opporsi alla novità». Lucio volle insistere; ma il principe, che era di buon umore, terminò l'udienza con una facezia e disse: «Lucio, in qual modo siete venuto?» - Per mare, maestà, e in mezzo a mille rischi. - «Ebbene, perché non abbiate a correre uguali e forse peggiori pericoli, ritornate a casa per terra» (Storia Eccles. ).

   Vedete un tale che è licenzioso, un altro che è ingiusto e violento; condannate pure la loro condotta, voi non la condannerete da temerari, perché anche la legge divina la condanna; ma se voi li guardate come, infermi incurabili, dice S. Agostino, se voi li sentenziate e li trattate come peccatori incorreggibili, voi fate ingiuria a Dio e aggravate il rigore dei suoi giudizi. Voi avete vedute alcune persone abbandonarsi ad atti pericolosi; biasimate pure tali fatti, poiché la Scrittura li biasima; ma quando voi giudicate della vita presente dai disordini della vita passata; quando dite col fariseo: Ah! se sapeste che razza di donna è costei! e al pari di quello non pensate che quelle tali persone possono già essere in quell'istante medesimo cambiate dalla penitenza in tutt'altri uomini, voi non giudicate più secondo Iddio. Dovete, al contrario, da buon cristiano, credere che colui il quale per disgrazia è caduto, abbia peccato per debolezza, per sorpresa, per ignoranza, e che già si è pentito o si pentirà, si emenderà, e otterrà da Dio il perdono  (Cont. Secund.).

   «Basta a ciascun giorno la propria pena»   (MATTH. VI, 34), disse Gesù Cristo. Similmente, quando qualche scandalo offende i vostri occhi, invece d'ingrossarlo e di divulgarlo con mille piagnistei, od oltraggiare i disgraziati fratelli con crudeli invettive ed amare ironie, sperate piuttosto in un tempo migliore e in una condotta più regolare.

   Se dobbiamo essere riservatissimi nelle nostre sentenze contro le colpe conosciute e manifeste, con quanta prudenza non dovremo procedere quando si tratta di fatti nascosti e dubbiosi? Particolarmente in questo caso dobbiamo sospendere ogni giudizio, scusare, non applaudire ai detrattori e, fino a miglior prova, dire che la cosa non può essere come suona.

 

   9. INVECE DI CONDANNARE CHI SBAGLIA, AVVERTITELO CARITATEVOLMENTE. - Quando Giuseppe si fece conoscere dai suoi fratelli, e rivolse loro quelle parole: - Io sono Giuseppe vostro fratello, che voi avete venduto ai negozianti d'Egitto, - essi furono colpiti da grande spavento; conobbero e sentirono al vivo quanto si erano resi colpevoli con quella vendita e ne provarono di più il rammarico quando lo videro abbracciarli ad uno ad uno e piangere con essi (Gen. XLV, 3-8), I rimproveri più acerbi con cui avrebbe potuto guarirli, non avrebbero certo inspirato loro tanto orrore del delitto commesso. quanto ne inspirarono le carezze e le lagrime di un fratello oltraggiato, e tuttavia così buono, così tenero e benefico... Osservate ancora in qual modo Gesù Cristo tratta la donna adultera... Ascoltate il nome che dà a Giuda: chiama amico colui che sta per tradirlo...

 

   10. CHI È INNOCENTE NON DEVE INQUIETARSI DEI GIUDIZI DEGLI UOMINI. - Chi sa di essere innocente della colpa di cui viene accusato e condannato, non deve punto inquietarsi dei giudizi e delle accuse degli uomini. Ripeta con S. Agostino: «Pensate e dite di me quello che vi talenta; ad una sola cosa io bado, ed è che non mi accusi la coscienza mia presso Dio (Cont. Secund. Manich.)». Che cosa ci deve importare dei giudizi degli altri, quando non sono fondati? Ancorché tutto il mando ci condannasse come colpevoli, se noi siamo innocenti, se Dio non ci condanna, perché affannarci e inquietarci? Al contrario, quando tutti gli uomini ci giudicassero santi e perfetti, e Dio pensasse di noi diversamente, allora dobbiamo temere e tremare... Se tutti gli uomini fossero d'accordo per collocarci in cielo, e Dio ce ne escludesse, no; non vi metteremo ma; piede; e quando tutti ci dannassero all'inferno, se Dio non vi ci condanna. non vi cadremo giammai. Viviamo piamente, cristianamente, santamente, e i giudizi del mondo saranno per noi meno che un nulla, come già diceva il grande Apostolo: «Per me, poco o nulla m’importa d’essere giudicato da voi o da qualsiasi altro giudice umano; chi mi deve giudicare è il Signore» (1 Cor. IV, 3-4).

   Non dobbiamo fare nessun conto dei giudizi degli uomini, se non quando giudicano secondo verità, e per la nostra cattiva condotta ci meritiamo di essere da loro giudicati e condannati. In questo caso facciamone pro; la loro sentenza è la voce di Dio.

 


[1] sant’Alfonso Rodriguez s.j., 1533-1617. Uomo semplice e umile, straordinariamente servizievole, tanto rigido con se stesso quanto caritatevole con gli altri, svolse, per oltre trent’anni, il compito di portinaio trovando in questa professione la pace dell’anima e anche la via che lo condusse alle vette della santità. E come i custodi e gli uscieri vigilano sulle case e sui palazzi delle famiglie che vi abitano, così Alfonso Rodriguez vegliava sul Collegio e su quanti si affacciavano alla porta dei gesuiti in cerca di un aiuto, un consiglio, una preghiera. Per tutti aveva parole di incoraggiamento e di stimolo alla conversione del cuore e all’amore fraterno.