Una VITA che sgorga dalla PRESENZA di Cristo; la FEDE non è un’IDEA ma la vita
Se, come diceva Solov’ev, ciò che abbiamo di più caro non è Cristo, è difficile che non abbiamo vergogna di proporlo. La vittoria di Cristo è la capacità di conquistare il nostro io fino alla radice, di attirarci così tanto che possa veramente conquistarci: senza questo il cristianesimo non ha interesse, né per noi né per gli altri.
[Pagina senza pretese di esaustività o imparzialità, modificata 14/01/2024; col colore grigio distinguo i miei commenti rispetto al testo attinto da altri]
Pagine correlate: un cammino nella sua presenza; attrattiva Gesù; Presenza Eucaristica dovrebbe alimentare la presenza pubblica dei fedeli rifuggendo mondanità; Logos
↑2023.05.10 Ho sentito stamane Radio1Regione <vitaTrentina ansa> commentare l'inaugurazione della nuova sede dell'ostello della gioventù/TN con la voce del suo giovane direttore: complimenti per questa Opera in sussidiarietà orizzontale, che non è solo servizio pubblico di accoglienza della gioventù, ma anche testimonianza dello spirito che anima la cooperativa il Faggio, un Bene per tutti.
↑2023.03.14 <tracce> Un dialogo con il monaco cistercense Erik Varden norvegese e vescovo di Trondheim, per la prima volta al New York Encounter. Essere missionari non è andare alla fonte per un po’ e poi parlare agli altri di quello che ho bevuto. Significa portare la fonte in me e renderla accessibile agli altri. Si tratta di essere, come amavano dire i padri, christophoros, uno che porta il Cristo agli altri. L’educazione ha il suo ruolo necessario, inconfondibile, ma si tratta prima di tutto di essere, in un certo senso, tabernacoli incarnati, portatori della presenza reale. Ed è questo che farà impressione anche nel mondo di oggi.
↑2022.10.26 <cl> Davide Prosperi Presidente della Fraternità di CL in un'intervista su "Avvenire": «Il Pontefice ci ha ricordato che don Giussani è un bene per tutta la Chiesa», un'attualità che consiste soprattutto nella sua proposta radicale di vivere la fede in quell'oggi dove ci si interroga su cosa fare per arrivare al cuore degli uomini del nostro tempo, così incapace di avere la minima certezza su qualsiasi cosa. La Chiesa c'è e rimane perché il contenuto del suo messaggio non è un’ideologia ma la presenza di Cristo. Giussani su questa presenza ha scommesso ogni istante, ed è questo che anche noi ora siamo chiamati a fare, imitando lui. Niente di più. Sembra poco, ma è tutto.
↑2020.07.29 <avvenire> Carrón: quale cura per gli scettici di oggi? L’attuale guida di Comunione e Liberazione pubblica un libro "Il brillio degli occhi. Che cosa ci strappa dal nulla?" dove cerca di diradare la cortina di sfiducia che impedisce a molti di sentire la mano di Dio sulla loro testa.
↑2020.03.14 ritengo che sia più un'ironica provocazione che un'offesa ai credenti questa postilla <jpg> al "Dio ci ama" in tema di coronavirus; provocazione che raccolgo per commentare l'enigma della sofferenza del dolore innocente, che fa perdere la fede in Dio a tanti, come accadde a Voltaire col terremoto di Lisbona; non credo a un Dio punitivo come visto da novelli Paneloux; mi sovvien della mostra su Giobbe, il cui grido assomiglia a quello dei nostri coetanei, una domanda di senso che, irrisposta, può tradursi in litigio con un presunto volto di Dio. La risposta divina, con Gesù, non è stata una spiegazione dell'enigma, ma una presenza buona: l'uomo ha un Tu a cui rivolgere le sue domande di senso, Gesù, volto concreto della misericordia del Padre.
↑2019.02.11 <cl> A Vilnius assemblea Cl da Paesi ex sovietici: molti cattolici, ma anche ortodossi o in cammino per ricevere il Battesimo. Ma tutti, «si è cristiani per un'attrattiva che non pensavamo ci fosse. E invece C'È». Centosessanta persone arrivate da Lituania, Estonia, Russia, Bielorussia, Ucraina, Kazakistan e Azerbaigian.
↑2019.02.09 <or> Teologia: convegno ticinese sul pensiero di Giussani. La diffusione del pensiero di Kant ha comportato delle «difficoltà a pensare categorie come Dio, mondo o anima» e a rendere quasi «impossibile la comprensione dell’esperienza cristiana», ma a Giussani non basta una teologia a razionalità ridotta, anzi, questa «deve valutare criticamente tutte le idee, solo così può essere in grado di interpellare la società e le persone che la vivono». La dimensione del «carisma» vissuto dentro ma anche oltre i limiti delle parrocchie; «comunità» come «LUOGHI DI VITA», «non un gruppo d’amici che si separano dagli altri ... ma uomini mendicanti che ricevono da Dio la novità dell’avvenimento e che accettano i fratelli che il Signore dona loro». Il cristiano è colui che «si pone con un giudizio di fronte al suo destino», l’inizio non è mai da lui concepito come un «traguardo raggiunto» ma come un’eterna «ripartenza», c’è sempre un «daccapo», un inizio che è «il replicarsi di una presenza». Emblematico il “volantone” di CL/Pasqua2011: «L’avvenimento non identifica soltanto qualcosa che è accaduto e con cui tutto è iniziato, ma ciò che desta il presente, definisce il presente, dà contenuto al presente, rende possibile il presente».
↑2019.01.21 Per la giustizia e la pace: ad Aleppo tutte le confessioni cristiane pregano insieme nella Settimana per l'Unità <oraprosiria> Padre Ibrahim: in mezzo alla morte, testimoni della Sua presenza. La guerra in Siria come altre guerre nasce dall’egoismo e dall’avidità personale che è insita in ogni cuore umano. Ma quando questi mali assumono una dimensione comunitaria, ... continua
↑2018.12.23 <corriere.cl> Carrón: «la sorpresa del Natale, vittoria contro le paure ... L’iniziativa audace che Dio ha preso con Maria ci raggiunge anche in questo Natale, rinnovando l’annuncio di una novità radicale ... Il cristianesimo è una presenza dentro la tua esistenza, una presenza che assicura un cambiamento inimmaginabile».
↑2018.11.04 foto lettera di don Giussani <sabinopaciolla> «Vi chiedo due cose: di richiamarvi l’un l’altro a riconoscere la presenza del Signore in tutte le circostanze della vostra vita, perché Cristo è presente adesso. E poi vi chiedo di offrire a Dio, in qualunque momento della giornata, quello che state facendo così la Sua presenza investe tutte le nostre azioni e le plasma. Questa è la follia per i filosofi e lo scandalo per i moralisti, anche del nostro tempo: che Dio possa farmi cambiare, qualsiasi cosa io faccio». Don Giussani
↑2018.10.13 <cl.ABC> Carrón: Chiesa e società: davanti a uno stesso crocevia: «I valori che sostenevano la nostra costruzione comune sono stati indeboliti. La Chiesa e la società hanno lo stesso problema». Purtroppo molti hanno incontrato o continuano a incontrare un cristianesimo ridotto a un insieme di proibizioni o idee astratte. A chi può interessare, se non serve ad affrontare «la vita che taglia le gambe» (C. Pavese)? I primi «Credettero per quello che Cristo era. Credettero per una presenza (…) con una faccia ben precisa, una presenza carica di parola, cioè carica di proposta (…), carica di significato» (L. Giussani).
↑2013.03.11 <cl> traggo da Tracce.it, visibile in video mediaset (con 20” di pubblicità purtroppo), ascoltabile audio ♫.WMA da qui.
JULIÁN CARRÓN: «Una vita che sgorga dalla presenza di Cristo»
di Alessandro Banfi
Dal gesto di Benedetto XVI all'attesa per il nuovo Pontefice. La guida di CL, in un'intervista di Alessandro Banfi, ai microfoni di Tgcom24, spiega che cosa i cristiani possono ancora scoprire in quello che sta accadendo
Buongiorno a don Julián Carrón, presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione. Grazie di essere con noi.
Grazie. È un piacere.
Lei in un articolo su la Repubblica ha dato un po’ il senso del gesto [di Benedetto XVI] parlando di un gesto di libertà, questa è stata la parola chiave del suo commento. Ce la può spiegare?
Il senso mi sembra molto semplice: una cosa così, un gesto di questo calibro, non si può spiegare soltanto per certi fattori che sembrano all’origine di un gesto così: il coraggio, le difficoltà, la situazione della Chiesa, perché non spiegano una cosa: la letizia del volto del Papa. Mi veniva questa idea quando ho visto per l’ultima volta il Papa con il suo volto risplendente prima del chiudersi della porta a Castelgandolfo; possiamo dare tutte le interpretazioni che vogliamo, ma quella faccia lieta resta, e ciascuno deve misurarsi con questo: se qualsiasi interpretazione è in grado di dare ragione adeguata di questa letizia.
E allora qual è il vero senso di questo gesto?
Secondo me soltanto che c’è Qualcuno che riempie il cuore del Papa, che lo fa traboccare di quella gioia che si vede nella faccia. Tutti noi abbiamo esperienza di questo. Non è una strategia, non è qualcosa che possiamo darci noi, non è qualcosa che possiamo raggiungere con qualche percorso molto ben pensato; è qualcosa che ci troviamo addosso quando succede qualcosa di così grande, di così bello che ci riempie, tanto che ci fa risplendere la faccia. È una pienezza all’origine della libertà.
Ratzinger però non ha una personalità particolarmente emotiva, lui stesso dice di sé: «Non sono un mistico». Il suo è stato un percorso molto razionale, molto intellettuale anche.
È per questo che ancora occorre dare una spiegazione adeguata per questo, perché non è una persona in grado di prendere una decisione di questo calibro senza capirne la portata e le conseguenze, non è una persona che fa un gesto non pienamente consapevole. Per questo non si può ridurre a un problema sentimentale questa letizia di cui parlo; è una letizia che ha un’origine talmente profonda, talmente radicata nel profondo dell’essere. Per questo dicevo… mi domandavo: ma qualcuno si domanda che cosa vuol dire Cristo per Joseph Ratzinger, per la sua persona? Perché chiunque lo può vedere, quando ha un’esperienza vera di amore, che quello che riempie la vita non è nessuna strategia, è trovarsi davanti a una presenza che sorprendentemente lo fa risplendere. È soltanto se noi partiamo dall’esperienza elementare del vivere che possiamo capire l’esperienza elementare di un altro. Senza questo rimaniamo nella nostra interpretazione, senza guardare quello che abbiamo davanti; perché se qualcuno ci dice - quando ci vede così contenti fino al punto che si domanda -: «Ma cosa ti è successo?», non è che basti a spiegare [questo] una strategia o un coraggio. «Perché sei venuta contenta a lavorare oggi?», diciamo, «che cosa ti è successo?» È un’altra cosa, è un Altro che è all’origine di quella faccia che uno trova nel collega o nell’amico.
Insomma lei dice: [il Papa] ha riportato la Chiesa a riflettere sulla sua natura, alla fine sul fondo della questione, cioè su Gesù Cristo.
Esatto. Questo è quello che lui ha detto. La questione è che per poter capire questo occorre che le persone che guardano questo gesto senza ridurlo possano aver avuto qualche tipo di esperienza. Perché noi possiamo capire l’esperienza di un altro se in qualche modo noi abbiamo fatto esperienza di quello, altrimenti noi pensiamo di capirlo, ma lo riduciamo, e per questo dobbiamo dare altre interpretazioni. È soltanto una persona per cui Cristo è reale, non soltanto una creazione dell’immaginazione, una autoconvinzione, non soltanto il cristianesimo come un’etica, non soltanto ridotto tutto a organizzazione, ma una vita - come ha detto l’ultima volta parlando ai cardinali: la Chiesa è una vita che sgorga costantemente dalla presenza di Cristo -, che può spiegare una cosa del genere. Capisco che questo per tante persone non è una spiegazione perché, non avendo esperienza di Cristo come qualcosa di reale, pensano che non può essere questa la spiegazione. Io lo capisco, è perfettamente comprensibile, ma è soltanto quando uno fa questa esperienza - come facevano quelli che l’o hanno incontrato [Cristo]: «Mai abbiamo visto una cosa così» - che può capire un’esperienza del genere.
E tuttavia questo gesto comunica anche un’ansia di rinnovamento, di cambiamento, di autoriforma della Chiesa.
Ma questo mi sembra che in tutto quello che lui ha detto dopo è presente, perché è come se nel gesto ci fosse non soltanto il richiamo al rinnovamento, dicendo che cosa è la Chiesa e che cosa è Cristo, ma c’è anche il metodo: guardate che se Cristo non diventa questo per noi, non si può rinnovare la Chiesa con delle strategie, e se non ci convertiamo a Lui, non nel senso tante volte in cui intendiamo questa parola “conversione”, come se fosse di nuovo qualcosa di moralistico; no, se Cristo non diventa per noi la cosa più cara, sarà impossibile il rinnovamento, perché l’uomo ha un desiderio di pienezza: se non la trova in una presenza come Cristo, la cerca altrove, tutti la cerchiamo altrove se non è questo. Per questo non soltanto il gesto di per sé è già un richiamo, ma ci offre anche il metodo e la strada per rispondere a questo richiamo; non è soltanto un richiamo moralista, ci testimonia la strada. Come nel primo incontro che racconta il Vangelo, nel primo incontro c’è la risposta e la strada, quando i due primi, Giovanni e Andrea, hanno incontrato Gesù, hanno incontrato una persona, una presenza così eccezionale che lì c’era la strada, tanto è vero che sono tornati il giorno dopo a cercarLo e sono diventati Suoi per il resto della vita. La questione è se la Chiesa capisce che questo è il metodo; soltanto se la Chiesa diventa una presenza, se ogni cristiano diventa questo tipo di presenza così che, guardandolo, uno vuole tornare a vederlo il giorno dopo perché è decisivo per il vivere.
Ecco, secondo lei quali sono le necessità della Chiesa in questo momento?
La Chiesa necessita di quello che lui ci ha detto con l’indire l’Anno della Fede, cioè la Chiesa ha bisogno, come tutti abbiamo bisogno in ogni momento della nostra vita, di riscoprire che cosa ci è accaduto quando siamo diventati cristiani, riscoprirlo di nuovo come qualcosa di affascinante, di nuovo, di veramente attraente per la vita. Se si riduce questo a una qualsiasi delle riduzioni odierne del cristianesimo: organizzazione, etica, spiritualismo, tutto questo non è in grado di prendere la totalità dell’io, e se non prende la totalità dell’io cerchiamo la soddisfazione altrove. A me piace tantissimo una frase di san Tommaso che riassume bene questo: «La vita dell’uomo consiste nell’affetto che principalmente la sostiene, dove trova la più grande soddisfazione». Il problema della vita per ciascuno di noi, credenti o non credenti, è dove trova uno la più grande soddisfazione. La questione è che in tutte le presenze che incontriamo, tutte le persone che incontriamo in un certo momento ci soddisfano e poi tante volte decade. Qui l’unica questione è se c’è una presenza in cui la soddisfazione non solo non decade, ma cresce nel tempo, perché altrimenti la vita perde di significato. Ci troviamo in quella famosa frase di Eliot: «Perdiamo la vita vivendo». Purtroppo questa è l’esperienza di tanti. Invece l’esperienza cristiana ci offre un’altra possibilità: guadagnare la vita vivendo. E tu vedi che questo è vero perché in una persona all’età del Papa tu non vedi che è perdente; vedi che nel massimo della sua maturità, nella faccia tu vedi che questo uomo guadagna la vita vivendo.
Don Julián, le faccio anche una domanda, se vuole, banale, ma realistica. Che identikit può avere il nuovo Papa?
Mi sembra che quello che stiamo dicendo è questo - non è che occorra un identikit particolare -: occorre un cristiano, un credente, una persona che possa testimoniare, come ha fatto Benedetto XVI e prima Giovanni Paolo II – per citare gli ultimi due – la bellezza di Cristo; perché il problema oggi è questo: in un mondo smarrito - abbiamo ben presente la situazione, dove ci troviamo come mine vaganti -, che le persone possano trovare qualcosa a cui ancorarsi, che possa veramente rispondere. E questo non è prima di tutto un’organizzazione, prima di tutto un comitato, è un cristiano – diciamo –, una creatura nuova. Mi sembra che è la scoperta dell’acqua calda dire queste cose, ma è semplicemente quello che tutti desidereremmo trovare accanto, trovare davanti: una persona che, guardandola, ci faccia compagnia nelle cose fondamentali del vivere
↑2011.05.gg La Processione delle palme sarebbe APPARENZA? Le processioni in generale sarebbero da dismettere perché solo apparenza? [CzzC: Stimolato dal quesito formulatomi da una parrocchiana, annoto per il bollettino interparrocchiale la seguente riflessione ... continua].