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Umberto Eco e il trombone della polis

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Pagina senza pretese di esaustività o imparzialità: contrassegno miei commenti in grigio rispetto al testo attinto da altri.

 

Non ci offende il fatto che Eco evidenzi note di “populismo” nel discorso di Pericle, ma ci intristisce la mancanza di contestualizzazione, la verifica della perdita di una lucidità analitica sulla quale molti di noi hanno costruito le proprie idee giovanili, ridotta a cercare di épater le bourgeois, … “ma come in Atene c’erano gli schiavi?”

 

Traggo da atuttascuola2.0

 

DOMENICA 29 GENNAIO 2012

 

Umberto Eco e il trombone della polis - di Giovanni Ghiselli

Il 14 gennaio nel quotidiano la Repubblica è uscito un pezzo di Umberto Eco intitolato “Pericle il populista. Il suo discorso agli Ateniesi come esempio di malafede”. (pp. 56-57). L’ articolo contiene qualche imprecisione che vorrei segnalare  con questa mia modestissima critica.

Il professore emerito del Dams di Bologna esordisce vantandosi di avere suggerito che “Pericle era un figlio di puttana”  a un declamatore che si accingeva a leggere il logos epitafios in piazza del Duomo a Milano dopo l’elezione trionfale di Pisapia a sindaco della metropoli lombarda. L’attore, lì per lì, aveva riso, ma poi, leggendo il discorso di Pericle ricostruito da Tucidide, aveva capito che l’illustre semiologo aveva ragione .  Questo famoso elogio della democrazia contenuto nel discorso funebre sui caduti durante il primo anno della guerra del Peloponneso dunque, secondo l’illustrissimo articolista era una presa in giro dei morti e una fregatura per i vivi. Ma rimaniamo un momento sulla madre di Pericle, infamata come “buona donna”, “puttana” e, più  eufemisticamente e grecamente, quale “etera”. Con questi termini relativi alla madre di Pericle, il grande intellettuale ottantenne,  intende affermare,  che il capo degli Ateniesi era un gran farabutto, come “tanti altri politici”, dal momento che tutti costoro e tutte le loro madri si assomigliano, e, d’altra parte, per dirla con Platone, la natura intera è imparentata con se stessa. Tuttavia almeno una mamma di uomo politico, quella del grande statista ateniese appunto, va distinta dalla volgare schiera: era infatti Agariste “la nipote di quel Clistene che aveva cacciato i Pisistratidi e abbattuto valorosamente la tirannide, dato ad Atene nuove leggi e istituito un governo ottimamente equilibrato che garantì concordia e sicurezza” (Plutarco, Vita di Pericle, 3). Questa presunta “etera” apparteneva a una delle famiglie più nobili e antiche di Atene, gli Alcmeonidi, che si erano opposti alla tirannide, con loro pericolo e non senza loro danno, fin dal VII secolo a. C. Ma non è questa la trombonata massima dell’esimio scrittore.

La regina, la madre di tutte le trombonate di questo grandissimo, incredibilmente bravo docente dell’ateneo bolognese, è quella che assimila “al populismo di Mediaset e all’elogio del consumismo”  gli spettacoli dell’Atene di Pericle, ossia le rappresentazioni delle tragedie di Sofocle, Euripide e altri, le commedie di Cratino, seguite da quelle di Eupoli e di Aristofane.

Questi drammi che fanno ancora parte della corrente sanguigna della cultura europea, vengono addirittura paragonati a quei mera homicidia, omicidi veri e propri, che furono gli spettacoli negli anfiteatri romani. Seneca, tornato dal Circo scriveva :" avarior redeo, ambitiosior, luxuriosior? immo vero crudelior et inhumanior, quia inter homines fui "(Ep. 7, 3), torno a casa più avido, ambizioso, amante del lusso? anzi più crudele e più disumano proprio perché sono stato in mezzo agli uomini.

Ora sentiamo Umberto Eco: “ quello che egli voleva elogiare era la sua forma di democrazia, che altro non era che populismo-e non dimentichiamo che uno dei suoi primi provvedimenti per ingraziarsi il popolo era stato di permettere ai poveri di andare gratis agli spettacoli teatrali. Non so se dava pane, ma certamente abbondava in circenses. Oggi diremmo che si trattava di un populismo Mediaset”.

Populismo è “il rapporto carismatico tra il capo e la folla”, una di “quelle forme di governo basate unicamente sul consenso, sul plebiscito, sull’acclamazione, per le quali ancora Bobbio parlò nel 1984 di “democrazia dell’applauso” . La folla, anzi la plebe, applaude in maniera plebiscitaria appunto, siccome il capo carismatico la coMPNce, ma non era questo il caso di Pericle. Lo leggiamo in Tucidide. Lo stratego ateniese  poteva contrastare il dh'mo" fino a spingerlo all'ira (kai; pro;" ojrghvn, II, 65, 8) poiché era inattaccabile nelle questioni di denaro. Pericle, per il fatto di essere chiaramente e assolutamente incorruttibile dal denaro (crhmavtwn te diafanw'~ ajdwrovtato~  genovmeno~ , II, 65, 8) , teneva in pugno la massa lasciandola libera ("katei'ce to; plh'qo" ejleuqevrw"").

 

Nell’articolo di Eco abbondano le citazioni tratte dalla Vita di Pericle, scritta da Plutarco, e pure altre, tratte  dal discorso di Pericle sui caduti nel 431 a. C., ricostruito da Tucidide nel terzo libro della sua opera . Ebbene ogni frase, pur bella e nobile, viene presa in malam partem. Vediamo come.

Il Pericle di Tucidide elogia l’esemplare costituzione ateniese, l’anima della città,  con queste parole

In effetti ci avvaliamo di una costituzione che non cerca di emulare le leggi dei vicini, ma siamo noi di esempio a qualcuno piuttosto che imitare gli altri. E di nome, per il fatto di essere amministrata non per pochi ma per la maggioranza, essa è chiamata democrazia… e se uno può fare qualche cosa di buono per la città, non ne è mai stato impedito per l’oscurità della sua posizione sociale. (Tucidide, II, 37, 1).

Di certo gli autori della nostra Costituzione tennero presente questo passaggio del discorso di Pericle quando concordarono l’articolo 3 in questi termini: “ Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese”.

Eppure il nostro impareggiabile ermeneuta commenta: “Come discorso populista non è male salvo che Pericle non menziona il fatto che in quei tempi ad Atene c’erano, accanto a 150.000 abitanti, 100.000 schiavi”,

Vero è che la Politeia dell’Atene di Pericle ricevette molte critiche da filosofi e storici ostili alla democrazia, e venne definita una costituzione anarchica e variopinta, o una prepotenza dei non abbienti sui ricchi, o addirittura vituperata quale un prevalere della canaglia, insomma una dittatura del proletariato ante litteram, come scrisse diversi anni fa un illustre giurista del nostro Ateneo, Guido Fassò. Ma queste sono tutte critiche partigiane di regimi sicuramente meno favorevoli alla libertà e al benessere del popolo, e, in particolare,  della povera gente. Vero è pure che c’erano gli schiavi e che Pericle perseguiva una politica imperialistica non senza vessazione degli alleati- sudditi, ma sicuramente questo grande personaggio storico non mirava ad alcun arricchimento personale come il padrone di Mediaset; infatti il figlio di Agariste, la nobildonna alcmeonidea, utilizzò il denaro per far costruire  quell’ acropoli monumentale che è ancora un patrimonio dell’umanità colta, pure se non appassiona “l’uomo del libro e di tutti i libri”, come quel grande intellettuale e statista di primissimo piano che è Sarkozy ha salutato il nostro articolista accogliendolo all’Eliseo.

Ognuna delle "opere di Pericle" scrive ancora Plutarco “era,  per la bellezza  già allora antica,  mentre per la sua rifioritura appare, ancora oggi, recente e appena ultimata” (13, 5). Non certo come le opere del padrone di Mediaset.

Voglio segnalare al maestro di tanti Italiani altre analogie molto improbabili di questo “figlio di puttana” con il padrone di Mediaset: “la sua eloquenza era immune da qualsiasi ciarlataneria banale e plebea” (Plutarco, Vita, 5). “Davanti al popolo del resto, Pericle si presentava solo a intervalli, per non ingenerare abitudine e saturazione ed evitava di prendere la parola su ogni argomento “( 7). Ma soprattutto questo aspetto, messo in luce da Tucidide, Isocrate e Plutarco, mostra come Pericle debba essere considerato l’antitesi di Berlusconi e di quasi tutti i nostri politici: “La fonte della sua autorità non stava soprattutto nell’efficacia del suo discorso, ma, come dice Tucidide, nella reputazione che godeva per l’integrità della vita, e nella fiducia che si riponeva in lui, uomo palesemente incorruttibile, e superiore al denaro. Infatti Pericle, che rese la sua città, da grande che era, grandissima e ricchissima… non accrebbe di una sola dracma il patrimonio che aveva ricevuto in eredità da suo padre (Plutarco, Vita, 15).

Per quanto riguarda gli schiavi della città,  chi legge le commedie rappresentate a teatro , quindi probabilmente con qualche realismo, ne ricava l’impressione che non stessero peggio degli operai e dei piccoli impiegati di adesso. Certo è che i grandi maestri del pensiero europeo, stanno assai meglio. Il nostro professore emerito, semiologo illustre, grande signore della cultura, e romanziere planetario, quasi cosmico, dovrebbe meditare su queste mie modeste, umili e sommesse osservazioni da proletario della cultura, forse non immune da invidia di tanta inarrivabile grandezza.

18 gennaio 2012

Giovanni Ghiselli

g.ghiselli@tin.it

Pubblicato da Luigi Gaudio a domenica, gennaio 29, 2012

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Traggo inoltre da http://filelleni.wordpress.com/2012/01/19/leco-di-pericle/

L’Eco di Pericle

La Repubblica” di sabato 14 gennaio 2012, a p.56, ci ha regalato, quale preziosa anticipazione, un brano di Umberto Eco tratto dal nuovo volume dell’Almanacco del Bibliofilo. Oggetto del saggio dell’illustre Maestro è nientedimeno che l’epitaphios logos di Pericle figlio di Santippo per i caduti del I anno della Guerra del Peloponneso “ricostruito” (si badi, è la ricostruzione di uno che quel discorso ha ascoltato) da un certo Tucidide figlio di Oloro, non proprio un seguace fanatico dell’uomo politico, in II, 34-47.

Dopo aver letto il testo di Eco, mi é venuta in mente una vecchia vignetta di Staino nella quale la figlia di Bobo, colpita dall’ignoranza del padre, esclama: “ma papà, su cosa hai studiato la storia romana, su Novella 2000 ?“. Mi viene di pensare, per carità solo per ridere - chi oserebbe mai parlare male di Omero (ma anche il Poeta qualche volta sonnecchia) - che il grande Eco questa volta si sia fatto una bella dormita. Il suo saggio è offensivo e alquanto insulso. Suona, tra l’altro, come una maramaldata di chi spara all’ambulanza. Ormai la Grecia è affondata, demoliamo anche la sua storia, i fondamenti della sua civiltà. La smettano i Greci di scardinare i cabasisi con il fatto che devono stare nell’euro perché hanno salvato l’occidente a Maratona e Salamina.

Per un puro caso, solo poche settimane fa, è uscito il libro di Luciano Canfora, Il Mondo di Atene (Laterza, 2011) che all’argomento dedica pagine non del tutto nuove (Canfora si occupa da una vita del problema), nelle quali ci mette in guardia dal cadere nella trappola di una lettura del testo tucidideo banalmente retorica e romanticamente esaltante la democrazia ateniese. Come se nella politica di Pericle, nella sua condotta e nel discorso stesso, non si intravvedessero quella magagne che abilmente Tucidide veicola per chi ne sa fare una lettura attenta.

Ma da qui al minestrone ce ne corre. Quand’è che smetteremo di fare la storia ateniese con Plutarco? Eco immagina quante migliaia di pagine siano state scritte sull’argomento da storici della Grecia di professione? Caro professore (per il quale continuiamo a nutrire ammirazione profonda non disgiunta da qualche punta di delusione), non si tratta di ridurre la storia greca a una bustina di Minerva. L’argomento, mi creda, è serio. Vediamo qualche perla, ma solo qualcuna, perché comincio già a provare noia solo a trattare l’argomento. Chi ha detto che il discorso al demosion sema (il cimitero pubblico situato nel sobborgo nord-occidentale di Atene) è una trovata propagandistica di Pericle? Nessuno. Si tratta infatti di un patrios nomos (la legge dei padri). Pericle si vanta di abitare una città che è la scuola dell’Ellade? Per Eco è un populista da Mediaset che dà al popolo ‘circenses’ (non sa se dava pane -sic! e le riforme economiche e monetarie ed il rapporto con la chora, territorio sovrano della polis)? Pinzillacchere… Mi sa che il professor Eco abbia scritto pensando ad un pubblico da Mediaset lui si, tipo Drive in o, meglio ancora, per il Bagaglino!

C’è qualcuno sano di mente che possa contestare la superiorità della cultura ateniese del V secolo? Non è il povero meschinello Plutarco che ci soccorre, ma le fonti contemporanee, caro prof., il teatro (la tragedia e la commedia ateniese è roba da circenses? Ma mi faccia il piacere) e l’archeologia povera ancilla che tale rimane e sogna sempre (invano) di diventare scienza. E poi l’epigrafia: legga i documenti epigrafici contemporanei e non le ricostruzioni erudite fatte 500 anni dopo. Legga per esempio il bel libro di Giovanni Marginesu, Gli epistati dell’Acropoli. Edilizia sacra nella città di Pericle.447/6-433/2 (Pandemos, Paestum- Atene, 2011). Sarebbe di giovamento (e non solo a Lei, ma anche a chi si ostina a ignorare qualsiasi altra fonte che non sia Tucidide e Senofonte per ricostruire il mondo di Atene). Ma come si fa poi a ignorare la storia al punto da dimenticare che in quel momento (e da un pezzo!) il messaggio è destinato a Sparta. Atene è una città diversa, è una società aperta, meritocratica (per esplicita affermazione dello storico antico e non per interpretatio modernizzante), con una grande mobilità sociale verticale. Ad Atene chi nasce teta può anche emanciparsi, mentre a Sparta se nasci ilota, tale sei destinato a rimanere. Tra le pecche del ‘mafioso’ Pericle (così definito dal Nostro Esegeta) c’è poi quella di non dire che ad Atene c’erano 100.000 schiavi (e sappiamo bene quale incubo siano per gli storici i calcoli demografici in mancanza di dati. Ma Eco è sicuro: gli schiavi erano 100.000, mentre noi poveri scettici dubitiamo, ritenendole esagerate, anche delle stime di Tucidide). Segue una tiritera esilarante persino contro Aristotele, sia il filosofo che l’uomo politico vissuto circa un secolo dopo, rei di non aver seguito Lincoln e Martin Luther King nella sacrosanta lotta per l’abolizione della schiavitù e nella lotta contro l’emarginazione dei meteci.

Il professor Eco consiglia a chi lavora nella scuola una lettura del discorso di Pericle nel senso da lui indicato. Nessun problema, purché i docenti aggiungano come chiosa, dopo aver dato qual testo di riferimento il suo saggio, il celebre e sempre valido ammonimento ne sutor ultra crepidam!

Emanuele Greco, orgogliosamente fazioso, direttore della Scuola Archeologica Italiana di Atene

2 Risposte

1.      su 21/01/2012 a 10:47 | Replica Grazia

Il busto di Pericle, la firma di Umberto Eco: gli ingredienti giusti perché l’assidua lettrice di La Repubblica privilegiasse tra gli altri, il giorno 14 di gennaio, – mentre problemi di, come dire, “stringente attualità?” impegnavano l’Italia intera – la lettura dell’articolo dedicato da Eco, appunto, al grande statista ateniese.

Non mi chiedo se le mie considerazioni saranno pubblicate. Quello che veramente vorrei è che La Repubblica, in nome di un sodalizio che dura, per parte mia, da innumerevoli anni, potesse far pervenire queste mie brevi considerazioni a Umberto Eco, Autore fra quelli che hanno segnato il conseguimento della mia autonomia intellettuale fin dai tempi della gloriosa Fenomenologia di Mike Bongiorno e delle riflessioni scritte Dalla Periferia dell’Impero.

È quindi al Maestro che mi rivolgo, con l’affetto di sempre, ma senza rinunciare alla lucidità che anche da lui ho appreso a gestire.

Proprio in nome di questa mi chiedo come sia stato possibile concepire ’articolo in oggetto, privo dei più elementari segni distintivi che dovrebbe differenziare il maître à penser – avvezzo a muoversi tra le maglie della Contestualizzazione – dal divulgatore corrivo, sia pure sapido e fascinoso (?).

A Eco non si richiede un giudizio storico su Pericle, o perlomeno non dalle pagine di un quotidiano – e in effetti da questo ben si guarda – ma facendo leva sulla scorrevolezza della sua penna e sull’ampiezza della sua tastiera egli trova modo di far sì che il Lettore stesso si senta autorizzato a dare un giudizio – politico? storico? – sullo Statista e a ingenerare paragoni con l’Oggi, l’oggi della Cronaca, della Politica… In che modo?

Scomodando, per esempio, categorie lessicali come “populista”…… nessuno scandalo… basta leggere Aristofane per capire quanto gli intellettuali ateniesi fossero ben a conoscenza del fenomeno del populismo, allora – come oggi – ineludibile compresenza accanto ad ogni sistema democratico.

Non è quindi il fatto che Eco evidenzi note di “populismo” nel discorso di Pericle che ci offende, ma ci intristisce, ripeto, la mancanza di contestualizzazione, la verifica della perdita di una lucidità analitica sulla quale molti di noi hanno costruito le proprie idee giovanili, ridotta a cercare di épater le bourgeois, … “ma come in Atene c’erano gli schiavi?”

… e lo scopriamo adesso?…

Ma non è stato proprio Eco a insegnarci a guardare i segni lasciati dalle civiltà e da questi dedurre i semi del nuovo dai cascami del passato?

Di seguito viene citato anche Aristotele per arrivare alla sintetica enunciazione del fatto che, sì, il mondo antico, il mondo classico, non solo accettava ma ragionava sul concetto di schiavitù e ne teorizzava principi e fondamenti.

Su queste basi Eco scrive “lasciamo a Pericle celebrare questa sua democrazia di schiavi”…. democrazia di schiavi … in un contesto storico, geofisico e culturale in cui persino il termine era inconcepibile, un monstrum…

Ma ad Eco la considerazione torna utile, perchè può giovarsene per l’ ormai veramente stucchevole attacco al “populismo” Mediaset e al Consumismo.

E una volta di più un senso di sofferenza: ma cosa è successo al cervello di Eco?

È possibile che la rabbia, che tutti abbiamo condiviso e condividiamo, gli possa fare commettere contro se stesso – in spregio al suo cervello – errori di tale gravezza: parlare di consumismo per una società nella quale Alcibiade, aristocratico che di Pericle era parente, veniva considerato “un arbiter elegantiarium” perché aveva un mantello di lana bianca.

Ma la tristezza, il senso di pena continua perché è Eco stesso che ci consiglia: “andiamo avanti”…

sì, ANDIAMO AVANTI, in modo che egli possa, nemmeno tanto furbescamente, accennare al fatto che Pericle aveva stabilito che fossero riconosciuti cittadini ateniesi solo coloro che avevano tutti e due i genitori ateniesi.

In questo modo, ecco spianata la strada ad una analogia che porta l’ignaro lettore al paragone-paradosso tra cittadini di diritto ateniesi ed “extracomunitari con diritto di soggiorno”.

Non mi soffermo sulla penosa chiosa attraverso la quale Eco definisce “principio mafioso” il fondamento dell’Amicizia, forse dimenticando la lunghissima tradizione che dell’amicizia ha fatto uno dei capisaldi dell’incivilimento e dell’inculturamento umano, a partire da Gilgamesh ed Enkidu e che ha lasciato tracce tanto profonde da divenire uno degli appuntamenti fissi dei duetti tenore-baritono dell’opera verdiana, che di popolarità e non di “populismo” ben si intendeva (citiamo fra tutti Don Carlos, Duca di Posa, ecc.).

Il saggio si chiude tristemente e penosamente, senza dimenticare un accenno a Mussolini (anche questo di grande e calzante attualità, direi imprescindibile per la comprensione dello spirito classico dell’Atene del V secolo) arrivando, dopo aver percorso in discesa tutti gli scalini – posso dire dell’indegnità? – a questa chiusa: “ora l’oratore conclude : Dopo aver compianto ciascuno il proprio parente tornate alle vostre case che – traducendo alla buona – significa «e ora smammate e non rompete più le scatole con i vostri piagnistei»”.

No, prof. Eco, la corrività e lo squallore non facevano parte del codice linguistico della tradizione oratoria ateniese… un’ altra grave mancanza di contestualizzazione. Quindi non si tratta di tradurre alla buona ma di svisare pesantemente il testo.

Seguono le ultime 6 righe che cito per intero: “se si dà da leggere nelle scuole il discordo di Pericle occorrerà commentarlo”.

(è esattamente quello, prof. Eco, che mi sarei aspettata da lei …)

“ricordando che molti padri di tante Patrie sono stati figli di una etera”!!!

Solo che, prof. Eco, la madre di Pericle non era una etera, si chiamava Agariste e faceva parte della famiglia degli Alcmeonidi, mentre l’etera che lei cita con l’ultimo guizzo della sua penna, Aspasia, era non la madre, bensì la donna da lui amata

2.      su 23/01/2012 a 11:05 | Replica paolam

Basta avere un potere editoriale di massa e ci si può permettere tutto, e la rincorsa all’infimo è inarrestabile, e così un illustre cattedratico può dimenticare i principi di metodo cui si sarà pure ispirato in passato (controllare la correttezza documentaria di ciò che si scrive, contestualizzare storicamente qualsiasi tema etc.) e pure il minimo di onestà intellettuale che comunque ci si aspetterebbe. Per non parlare delle cognizioni che altresì ci si aspetterebbero comunque sedimentate nella cultura individuale di uno studioso, per dirla bene. Quale esempio per i/le giovani studiosi/e. Alé.