La morale? Non è figlia dei neuroni
parla il teologo Klaus Demmer. [CzzC: traggo da Avvenire 09/11/2011 Pag 28 e in calce commento]
[Pagina senza pretese di esaustività o imparzialità, modificata 10/05/2023; col colore grigio distinguo i miei commenti rispetto al testo attinto da altri]
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↑2011.11.09 La morale? Non è figlia dei neuroni
Dalle neuroscienze che rischiano di annullare la spiritualità all’elemento del Maligno che si nasconde dietro alla disintegrazione dell’umano: parla il teologo Klaus Demmer, che oggi viene festeggiato alla Gregoriana per i suoi 80 anni
intervista di Roberto I. Zanini al teologo KLAUS DEMMER.
Klaus Demmer non ha dubbi: «Per affrontare le sfide del nostro tempo servono sacerdoti pii e colti... E un laicato cattolico preparato». Proprio oggi Demmer, docente emerito di Teologia morale alla Gregoriana, tiene una lectio magistralis nella medesima università pontificia, sul tema: 'Le teologia morale contemporanea, sfide e prospettive'. Una sorta di omaggio per i suoi 80 anni, che si affianca alla pubblicazione di un volume della San Paolo (Pensare l’agire morale), a cura di Aristide Fumagalli e Vincenzo Viva, con i contributi di un gruppo di teologi morali italiani suoi ex allievi. Magro, dall’aspetto simpatico e ascetico al contempo, Demmer, che è sacerdote Missionario del Sacro Cuore, insiste sulla necessità di dar vita nella Chiesa a una «nuova consapevolezza dell’essere cristiani».
Professor Demmer, nell’immagine del Sacro Cuore, Gesù indica se stesso come fulcro della vita del cristiano. Oggi lo si considera un linguaggio superato dai tempi.
«Si tratta di una devozione sviluppatasi fra ’700 e ’800, ma se compresa, ancora oggi apre un accesso molto umano al mistero inscrutabile di Dio. Tendiamo a dimenticarci che il centro gravitazionale del cristianesimo è l’amore di Dio per l’uomo. Nell’immagine del Sacro Cuore si rende visibile il mistero del Dio onnipotente che ama l’uomo in maniera incondizionata. Come dice Eberhard Jungel, in questo miracolo è l’eccellenza del cristianesimo».
Come può comprendere queste cose l’uomo di oggi, sempre più lontano dalla spiritualità?
«Il problema non riguarda solo questa devozione, ma è tutto l’accesso al mistero cristiano che risulta ostacolato e difficile. Oggi è come se l’uomo fosse monodimensionale, succube della dittatura di un’unica forma di pensiero, legata a ciò che è concreto, scientificamente dimostrabile. Ciò che riguarda lo spirito viene denigrato, escluso».
Conta solo ciò che si spiega attraverso la scienza...
«E così tutti i fenomeni che hanno una parvenza di spiritualità vengono tacitamente 'naturalizzati', resi dimostrabili. Ecco allora che le neuroscienze riducono l’essere umano ai suoi soli processi cerebrali. L’uomo e quindi la sua morale, è il semplice prodotto del suo cervello, dei suoi geni. E anche per la libertà non c’è più spazio».
Per la libertà?
«Sì! Perché se tu sei in quanto funzione dei tuoi geni e dei tuoi collegamenti neuronali, sei automaticamente chiuso nella gabbia di una sorta di predestinazione secolarizzata.
La tua vita, le tue scelte, anche quelle morali e della fede, tutto di te si può spiegare in termini biologici, tutto è già scritto nel tuo Dna. E quel che è più grave è che insieme alla libertà soggettiva svanisce anche il concetto di colpa, di responsabilità».
Quale impegno ci aspetta per uscire da questo collo di bottiglia?
«Prima di tutto penso sia fondamentale una filosofia sensibile alle sfide del nostro tempo e finalmente capace di dialogare con la teologia. La collaborazione fra teologia e filosofia è fondamentale per riesaminare tutte le categorie essenziali, a cominciare dai concetti di finalità, ordine, sostanza... Del resto è insito nella storia del cristianesimo: il teologo ha bisogno del filosofo. Oggi serve una teologia arricchita da concreti elementi filosofici ».
Questo come si traduce in termini pastorali?
«Prima di tutto è necessario un clero capace di combinare una profonda devozione con un alto livello di cultura. E questo deve trasparire. Il fedele deve percepire che il sacerdote è uomo di cultura capace di competere con gli intellettuali. Ciò che assolutamente non serve è un clero semplicista, bigotto».
E i laici?
«La Chiesa deve prendersi cura di una forte educazione teologica del laicato. I laici sono impreparati alle sfide del nostro tempo, confusi dalla massiccia quantità di messaggi in contrasto con le ragioni della fede. Per la Chiesa è una sfida essenziale ».
C’è bisogno di far conoscere nuovamente chi è il vero Dio?
«Molte volte la gente ha un’idea infantile di Dio. Coloro che combattono la fede hanno spesso una concezione bigotta e falsa di Dio. Per questo c’è urgenza di preti e laici preparati».
Ma la fede non passa solo attraverso la cultura.
«La cultura è una via, un accesso. La fede passa attraverso la testimonianza di vita di uomini convinti».
Quindi la cultura senza testimonianza...
«Non vale nulla. Ma la testimonianza si deve adeguare ai tempi che corrono. Per questo dico che il prete moderno deve essere pio e colto».
In una società che non sa più interpretare il male deve essere anche capace di insegnare il discernimento?
«È essenziale. Per troppo tempo si è insegnato a valutare la colpa e il peccato come qualcosa che si misura a peso, quando invece la malizia del cuore non si può misurare. I confessori devono tornare a prendere sul serio questa malizia, che è diabolica e se non lo si comprende non si riesce a spiegare come riesca a generare assenza di spirito di riconciliazione e di perdono. Come produca una generalizzata durezza di animo, che è l’esatto contrario del Cristo che ama offrendo il suo cuore».
Senza perdono non si costruisce la società?
«Nemmeno la famiglia. Molti matrimoni falliscono per questo motivo. Ci sono aspettative deluse, non si perdona e ci si separa, secondo il significato della parola 'Diavolo': ciò che divide. Tanti matrimoni si potrebbero salvare se ci fossero coppie esperte capaci di accompagnare le coppie in crisi; se ci fosse una preparazione al matrimonio capace di calarsi nelle sfide della modernità. La Chiesa deve imparare a preparare e accompagnare. Vale per la famiglia come per la formazione dei nuovi sacerdoti. Vivere il celibato in solitudine risulta difficile. E la mia esperienza in Germania con i preti protestanti sposati (anche fra omosessuali) e divorziati mi rende certo di una cosa: non è l’abolizione del celibato che risolve il problema».
· K. Demmer inizia dichiarando subito la tesi/terapia (“servono sacerdoti pii e colti... E un laicato cattolico preparato” mi par di sentire Rosmini, e la ribadisce più volte nella disquisizione), cosicché anche chi non avesse tempo di leggere tutta la analisi/diagnosi, si porterebbe via qualcosa di buono o risparmierebbe di leggere il resto se respingesse a priori la tesi: trovo che questo metodo sia rispettoso del lettore ed efficace per la trasparenza comunicativa, mentre conosco altre penne d’aquila capaci di irretire il lettore menandogli il cervello per l’aia finché sia abbastanza docile per rifilargli la tesi, magari sicut in cauda venenum o in medias res con vari trucchi retorici, magari senza che se ne accorga.
· Sintetico ma potente il sillogismo: “cultura monodimensionata sul scientificamente dimostrabile > neuroscienze che riducono l’essere umano ai suoi soli processi cerebrali predeterminati dal DNA e dal contesto > addio libertà e responsabilità”.
· Coraggiosa la testimonianza finale “E la mia esperienza in Germania con i preti protestanti sposati (anche fra omosessuali) e divorziati mi rende certo di una cosa: non è l’abolizione del celibato che risolve il problema”, esattamente come cerco di spiegare anche a taluni miei amici, perfino anziani, che stanno per cedere al martellante tam tam dei repubblicones con i conciliaristi di rottura “per riaffollare i seminari e le chiese basterebbero semplici ricette: dare la Comunione ai conviventi, consacrare prete anche le donne, lasciare che i preti si possano coniugare, democratizzare la chiesa, relativizzarne il magistero abbattendo la teocrazia del Vaticano”; la validità di questa ricetta per l’obiettivo dichiarato è smentita quantomeno dall’osservare i fratelli cristiani riformati, che da tempo condiscono sermoni e prassi con quelle ricette: leggo scritto da loro che non solo i seminari, ma anche le loro facoltà teologiche frequentate da laici sono al tramonto; le loro assemblee in chiesa sono affollate ormai quasi solo per i concerti, elessero al vertice/guida una donna che poi fu fermata dalla polstrada per guida in stato di ebbrezza e, per dirla col Mancuso pagato da Verzé anche per i complimenti al suddetto ricettario, «spiace che proprio loro, i massimi cultori della Parola, finiscano per non capirsi più». Ovviamente chiedo scusa ai fratelli cristiani riformati per la parzialità e di queste mia parole, magre considerazioni al confronto della grande carità profusa dai protestanti per il bene comune talvolta anche più ingentemente dei cattolici, e lungi da me un giudizio di merito; solo desidererei che, quantomeno i Valdesi qui in Italia, riducessero la frequenza di pubblici “apprezzamenti” verso i cattolici che non usano le suddette ricette, essendo ormai acquisito dal dialogo ecumenico l’impegno per il rispetto, quantomeno formale, dei diversi cammini e guide prescelti dai cristiani nella sequela dell’unico Nostro Signore Gesù Cristo, morto e risorto per la salvezza dell’umanità: spero che assieme si possa aumentare il nostro contributo al bene comune con una «nuova consapevolezza dell’essere cristiani», anche in difesa dei nostri fratelli più minacciati, perseguitati proprio a causa della loro fede cristiana in terre dove ne impera fanaticamente un’altra]