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2010.11.04 Traggo da Da Panorama 04/11/2010 pag 38, cliccabile qui, ma perdereste tempo nelle distrazioni marginali

VI RACCONTO LO IOR SENZA SEGRETI

CHE METTE D'ACCORDO DENARO E PARADISO

         Al servizio del papa e della Chiesa. Ettore Gotti Tedeschi 65 anni, da un anno è presidente dell'Istituto per le opere di religione

di Stefano Lorenzetto

 

UN ATRIO SPOGLIO. Una moderna acquasantiera di granito rosso che non ha mai visto l’acquasanta. Chiavi decussate di San Pietro sulle porte a vetri. Buste di plastica dentro cui infilare gli ombrelli perché l’acqua piovana non goccioli sui pavimenti tirati a specchio. Medaglie d’oro dei papi e due antichi registri verdi, «Saldaconti» e «Capitali», nelle vetrinette. Se non fosse per il totem multimediale che in un angolo fornisce le quotazioni delle valute, lo Ior sembrerebbe un museo.

 

Il Torrione di Niccolò V, quello che secondo Repubblica avrebbe mura spesse 9 metri, è addossato al Palazzo apostolico. L’ufficio di Ettore Gotti Tedeschi, presidente dell’Istituto per le opere di religione, è l’unica dépendance che sconfina nella casa del Papa, tre finestre sotto il davanzale dal quale si affaccia Benedetto XVI per l’Angelus domenicale. Accanto all’ingresso, nel Cortile di Sisto V, c’è l’ascensore che porta nell’appartamento pontificio. Il terrazzo farebbe la felicità di Dan Brown: da qui comincia il Passetto, il camminamento fra la Città del Vaticano e Castel Sant’Angelo che fu negato alla troupe di Angeli e demoni.

 

Lo studio è dominato da una grande tela raffigurante Gesù che tiene in mano la moneta del tributo e Gotti Tedeschi, entrato per la prima volta in questo ufficio esattamente un anno fa, il 23 ottobre 2009, non intende discostarsi dal Vangelo secondo Luca: a Cesare ciò che è di Cesare, a Dio ciò che è di Dio. «Lo Stato italiano, la Banca d’Italia e la procura di Roma hanno fatto il loro dovere. Mi amareggia solo che l’infortunio sia avvenuto proprio mentre io e il direttore generale Paolo Cipriani, un professionista di esemplari capacità, siamo impegnati, con le autorità preposte, al conseguimento della massima trasparenza, in ottemperanza a quanto disposto dalla Segreteria di stato». «L’infortunio» è l’avviso di garanzia che i vertici dello Ior hanno ricevuto dal procuratore aggiunto Nello Rossi e dal sostituto Stefano Rocco Fava per presunte omissioni legate alla normativa antiriciclaggio. Di mezzo c’è la movimentazione di 23 milioni di euro, depositati su un conto dello Ior nella filiale romana del Credito artigiano e destinati alla J.P. Morgan Frankfurt (20 milioni) e alla Banca del Fucino (3 milioni). Una piantina grassa irta di aculei in anticamera e un dipinto della crocifissione appeso vicino alla scrivania introducono meglio di tanti discorsi lo stato d’animo di Gotti Tedeschi. Da oltre un mese il presidente dello Ior sta vivendo la vicenda come un piccolo calvario personale.

 

C’è lo sfregio al curriculum scintillante: unico italiano uscito dalla Sema di Parigi, la Société d’économie et de mathématique appliquée voluta dal presidente Charles De Gaulle; poi docente di finanza e di etica economica alla Statale di Torino e alla Cattolica di Milano; rappresentante in Italia del Banco Santander; consigliere d’amministrazione della Cassa depositi e prestiti su nomina del ministro Giulio Tremonti. C’è il tormento del credente: convertitosi negli anni Sessanta dopo avere conosciuto Giovanni Cantoni, fondatore di Alleanza cattolica, da una vita sceglie gli alberghi in giro per il mondo in funzione della chiesa più vicina; a Londra, per esempio, scende allo Sheraton Park Towers perché lì accanto c’è la chiesa di San Filippo Neri, dove si celebrano messe ogni mezz’ora, alcune anche in latino; a Milano arrivava in ufficio alle 6.30 e lo si vedeva puntuale alle 8 a San Babila; in Vaticano comincia la giornata alle 7.30 accostandosi all’eucaristia nell’unica parrocchia pontificia, Sant’Anna.

 

C’è la sofferenza procurata ai suoi cari: quando nel 1984 lasciò McKinsey, il presidente della più famosa società di consulenza manageriale disse agli ospiti intervenuti alla cena di commiato: «Ettore possiede una dote davvero rimarchevole. Ha lo stesso numero di figli che noi in media abbiamo di mogli», e allora ne aveva solo tre, poi diventati cinque, tutti avuti dalla stessa consorte, Francesca, tutti poliglotti, tutti laureati (l’ultima sta ultimando gli studi di filosofia), tutti impegnati professionalmente fra Italia, Francia e Brasile.

 

Ma c’è, soprattutto, il dispiacere per il disagio arrecato al Papa e al cardinale Tarcisio Bertone, il segretario di Stato vaticano, dall’inopinato ritorno dello Ior sotto i riflettori, proprio mentre persino Gianluigi Nuzzi, l’autore del vescicante best-seller Vaticano spa, riconosce che Gotti Tedeschi si accingeva «a chiudere quasi 120 posizioni “a rischio” e 13 conti non graditi».

 

Nel 2007 mi confessò che non le sarebbe dispiaciuto dedicare l’ultimo tratto della sua vita al ruolo di intellettuale. Invece a 65 anni la trovo a presiedere la banca vaticana. Che cos’è cambiato?

Niente. Più ruolo intellettuale di questo! Ho messo il mio intelletto al servizio del Papa e della Chiesa. E comunque lo Ior non è una banca.

 

Ah no? Tutti lo definiscono così.

È un errore concettuale. Che fa una banca? Raccolta e impiego. Lo Ior non eroga crediti, non ha azionisti che attendono la remunerazione, non è quotato e non deve produrre a tutti i costi una redditività minima del capitale. Il suo risultato è il servizio che offre a diocesi, congregazioni ed enti religiosi.

 

È stato scritto che dà interessi netti dal 4 al 12 per cento.

Ma dove l’ha letto? Meglio: ma come potrebbe essere vero? Oggi il rendimento della liquidità, o di un titolo obbligazionario a tripla A di rating, è poco più dello zero per cento. Ripeto: lo Ior è solo uno strumento importante dell’apostolato della santa Chiesa cattolica nei cinque continenti. Per capire bene, però, bisogna avere la pazienza di conoscere meglio la Santa sede e mettere da parte la fretta che spesso induce i giornalisti a esprimersi per luoghi comuni. Lei ce l’ha questa pazienza?

 

Penso di sì.

La Santa sede non è uno stato alla stregua degli altri, pur avendo un piccolo territorio, la Città del Vaticano. Si tratta della Chiesa universale. Solo per una serie di eventi storici, che spaziano dalla venuta di Pietro a Roma al culto dei martiri cristiani, si è stabilita qui.

 

Ma non si chiama Stato della Città del Vaticano?

Sulle targhe delle auto c’è la sigla Scv. Non si tratta di sinonimi. Sono due entità distinte. Tant’è vero che gli ambasciatori degli altri paesi quando presentano le loro credenziali al Papa non vengono accreditati presso la Città del Vaticano bensì presso la Santa sede.

 

E dunque che cosa vi contestano i magistrati?

Anche qui serve una premessa. Nel 2001 accade un fatto che cambia il mondo: l’attacco alle Torri gemelle. Le speculazioni borsistiche che precedono e seguono gli attentati fanno presumere che molti capitali siano stati creati per alimentare il terrorismo. L’Occidente reagisce varando una serie di accordi sulla trasparenza negli spostamenti di queste ingenti masse di denaro. I controlli sono demandati alle banche centrali, che a loro volta controllano le banche sul territorio. Mi sta seguendo?

 

La seguo.

L’Italia ha aderito a questi accordi internazionali sulla trasparenza, i quali prevedono che nessun capitale possa circolare senza essere riconoscibile. E quindi esigono che per ogni bonifico siano indicati ordinante, beneficiario, causale. Le operazioni sospette vengono immediatamente segnalate. Esempio: se lei guadagna 25 mila euro l’anno e ne versa in banca 100 mila, quella è un’operazione sospetta. Perciò dovrà spiegare e autocertificare come ha avuto la somma.

Altrimenti non me la accreditano.

Esatto. Ora, non essendo uno stato come tutti gli altri, la Santa sede era rimasta fuori dagli accordi, ma ultimamente ci siamo resi conto che era prioritario superare questo ostacolo. Per assistere gli istituti religiosi nelle loro necessità di carattere finanziario dovevamo adeguarci alle norme antiriciclaggio.

 

E lo Ior è corso ai ripari.

Abbiamo incaricato la più grande società di revisione al mondo, Deloitte, di rivedere tutte le procedure; abbiamo lavorato con Bankitalia, in assoluta e totale cooperazione a tutti i livelli; abbiamo avviato contatti a Parigi con l’Ocse e col Gafi, il Gruppo di azione finanziaria contro il riciclaggio di denaro. In pochi mesi s’è trovata un’intesa con cinque banche italiane. Con il Credito artigiano eravamo in dirittura d’arrivo. Purtroppo agli inizi di settembre una serie sfortunata di coincidenze ha creato un equivoco su un’operazione.

 

Però lei a botta calda ha dichiarato: «Un errore di procedura viene usato come scusa per attaccare l’istituto, il suo presidente e più in generale il Vaticano».

Queste sono semplificazioni giornalistiche. Mai detta una cosa del genere, anche perché non la penso. Ho chiesto io d’essere interrogato dai magistrati per spiegare il «misunderstanding » e devo riconoscere che ho riscontrato la massima disponibilità a comprendere la nostra buona fede. È stato un trasferimento da conto Ior a conto Ior, una semplice operazione di tesoreria. Quanto di più lontano da un sospetto di riciclaggio.

 

I precedenti non incoraggiano. Basti pensare alle vicende dell’Ambrosiano di Roberto Calvi.

Lo Ior è uno strumento per fare del bene. Se qualcuno l’ha usato male, ne risponderà anche al Padreterno.

 

Ma lei perché viene perseguito come presidente di un istituto che gode dell’extraterritorialità? Non ha il passaporto vaticano?

Non ho mai nemmeno pensato di chiederlo. Sono e resto cittadino italiano e come tale rispettoso delle leggi.

 

Le leggo la conclusione del suo primo articolo apparso sull’«Osservatore romano» dopo la buriana giudiziaria: «Voltaire voleva che i suoi familiari – moglie, avvocato, servitù – fossero educati al cristianesimo, credessero in Dio e si comportassero secondo i comandamenti. E lo voleva perché era ben consapevole che quello era l’unico modo sperimentato per non essere tradito, ingannato e derubato. Per continuare a garantire questa buona reputazione è a volte necessario rinnovare gli strumenti». Può tradurmi l’ultima frase?

Stiamo lavorando per dare maggiore trasparenza ai nostri strumenti finanziari. Non abbiamo niente da nascondere.

 

Eppure le librerie pullulano di saggi sui segreti del Vaticano. Come se lo spiega?

Me lo spiego col fatto che la cultura nichilista dominante da tre decenni ha raffigurato la religione come nemica dell’uomo. Il professor Umberto Veronesi, un luminare dai molti meriti, è arrivato a teorizzare che la scienza potrebbe fare il bene dell’uomo, addirittura togliendogli il dolore, se non ci fosse di mezzo la Chiesa che difende l’intangibilità e la sacralità della vita.

Dopo l’avviso di garanzia, Benedetto XVI l’ha subito ricevuta in udienza. Per riconfermarle la sua fiducia?

Non c’entra nulla. È stato un incontro di pochi minuti per consegnargli una copia del mio libro Denaro e Paradiso, che ha la prefazione del cardinale Bertone.

 

È davvero convinto che denaro e paradiso vadano d’accordo?

Il denaro non è che un mezzo. Essere ricchi non è un demerito, essere poveri non è un merito. Il ricco epulone non finì all’inferno per colpa dei soldi, ma per avere lasciato al povero Lazzaro solo le briciole che cadevano dalla sua mensa. Gesù ha avuto bisogno delle donne benestanti che lo mantenevano, di Zaccheo, che rinunciò alla metà dei suoi beni, e dell’apostolo Matteo, che era un gabelliere. [CzzC: leggi al riguardo la conversione di Mondadori]

 

San Francesco, che si spogliò di ogni ricchezza, ha sbagliato tutto?

La scelta ascetica del Poverello di Assisi è una delle vie alla santità, non è l’unica. Puoi santificarti allontanandoti dal mondo oppure restandoci e cercando di orientarlo al bene. È più santo l’eremita che si rifugia in una grotta a pregare oppure l’insegnante, l’impiegato, l’operaio che cercano d’essere cristiani nella vita quotidiana?

 

Al cospetto del Papa, che cosa prova?

Gioia. Neanche emozione: molto di più. La gioia di trovarmi accanto a colui che Caterina da Siena chiamava «il dolce Cristo in terra». Una gioia contagiosa.

 

Come l’ha conosciuto?

Sei mesi prima che diventasse pontefice, una sera mi trovavo a casa di Gaetano Rebecchini insieme con Francesco Cossiga e lì ho avuto il privilegio di poter discutere per due ore e mezzo col cardinale Joseph Ratzinger del mercato globale, che comporta l’omogeneizzazione culturale dei popoli. La massificazione distrugge i concetti di bene e di male. Solo la religione spiega che cos’è bene e che cos’è male. Perché in punto di morte Voltaire, Giosuè Carducci e persino Oreste, il farmacista ateo del film Per grazia ricevuta, sentono il bisogno di chiamare un prete? Perché la fede cattolica offre una speranza di vita eterna.[CzzC: perché accogliere lo sguardo di Cristo, presente qui ed ora, accettando il dono della sua salvezza, significa trovare la verità e il significato della propria vita, quindi il centuplo quaggiù prima ancora che la speranza di vita eterna]

 

Dicono che lei sia fra i suggeritori delle encicliche e dei discorsi papali sui temi economici e dello sviluppo.

Inesatto. Mi sono limitato a fornire al cardinale Bertone, su sua richiesta, alcune considerazioni sulla crisi economica prima che fosse pubblicata la Caritas in veritate.

 

Pochi giorni fa, parlando a braccio al Sinodo dei vescovi per il Medio Oriente, Benedetto XVI s’è scagliato contro «i capitali anonimi che schiavizzano l’uomo», definendoli «un potere distruttivo che minaccia il mondo». Con chi ce l’aveva?

Il Papa si preoccupa del bene e del male dell’uomo e teme che i capitali la cui titolarità non è riconducibile a persone fisiche vengano utilizzati per il male.

 

Gli sta a cuore l’economia.

O forse è turbato dal fatto che negli ultimi 30 anni non s’è fatta economia vera, cioè a favore dell’uomo anziché contro l’uomo. Lei ha letto la Caritas in veritate?

 

No. Solo alcuni stralci sui giornali.

Finalmente! Eccone uno onesto che lo ammette. Be’, se tutti avessero letto l’enciclica saprebbero perché siamo entrati nella crisi e anche come uscirne. Vede, l’economia non può che avere tre obiettivi: usare bene le risorse naturali, senza sprecarle; assicurare lo sviluppo materiale ma anche spirituale dell’uomo, giacché noi siamo spiriti incarnati; distribuire a tutti le ricchezze prodotte, il che non è solo un principio etico, ma anche economico: è la distribuzione delle ricchezze che assicura la crescita della ricchezza. Sono stati realizzati questi tre obiettivi? No.

 

Per quale motivo?

Perché l’economia, che dovrebbe essere solo uno strumento, ha assunto autonomia morale. L’uomo, accecato dal nichilismo, confonde fini e mezzi, perde il senso della verità e suppone che la verità venga dopo la libertà. Non è così. Viene prima. Se l’uomo si soddisfa solo materialmente, fa violenza a se stesso. La materia un giorno finirà, lo spirito no. Prima si deve nutrire l’anima e poi la carne.

 

Per far crescere l’economia e uscire dalla crisi lei sostiene che bisogna fare più figli. Curiosa teoria.

Mica tanto, se ci pensa bene. Consideri una nazione con 100 milioni d’abitanti che non faccia figli. Primo anno: muore il 5 per cento della popolazione. Restano in 95 milioni. Secondo anno: idem. Restano in poco più di 90 milioni. Dopo dieci anni saranno 60 milioni scarsi. È un paradosso, chiaro. Ora consideri che nella stessa nazione venga rispettato il tasso di sostituzione: ogni coppia nel suo ciclo di vita genera due figli; in realtà dovrebbe farne un po’ di più, perché c’è anche chi non può procreare. Ma se la popolazione resta di 100 milioni d’abitanti, il pil come può aumentare? Bisognerà che ciascuno compri e consumi un po’ di più dell’anno prima. Questa si chiama crescita consumistica, appunto, imperniata sul sempre maggior debito.

 

In Italia, secondo l’Istat, siamo a 1,42 figli per donna, quindi lontani dal tasso di 2,1 che permette la costanza della popolazione.

E come si fa a indurre una nazione a non credere più alla famiglia e a ritenere che i figli danneggino l’umanità, sprechino risorse, c’impediscano di divertirci? Creando una cultura contro la vita. È quello che s’è fatto dalla fine degli anni Sessanta: interrompere le nascite per salvaguardare il pianeta dall’impoverimento. .[CzzC: condivido, ma aggiungo che sono anche altri gli obiettivi di chi semina cultura contro la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna con promessa pubblica di fedeltà: gli obiettivi salva-pianeta sono poco più che pretesti. A mio avviso quello principale è un obiettivo di potere funzionale alla gestione del sistema socio-economico, raffinato nel controllo della libertà degli individui, allevati liberi di soddisfare bisogni indotti dal sistema, recidenti i legami che disturbassero tale soddisfazione, “etologicamente” integrati: se poi questo volesse dire che la persona perde senso e dignità della sua vita, non sarebbe un problema dopo che queste fisime fossero percepite meno importanti di un piatto di lenticchie. Non a caso la Chiesa afferma che la consapevolezza e il rispetto della propria dignità matura nel bambino all’interno della famiglia alimentata dall’amore fedele; ma questo senso della dignità della persona renderebbe l’individuo meno docile a certi condizionamenti del sistema. Non son pochi gli economisti emuli della Cina e qualcuno di loro, glissando sulla violazione dei diritti umani, scrive «chi sacrifica un po' di libertà positiva, come la Cina, sta sollevando la miseria di milioni di persone». Il potere promuove non a caso il relativismo e ritiene sciocca la persona che si chiede i PERCHE’ quando basta sapere che FUNZIONA]. Il risultato è stato esattamente opposto alle aspettative dei neomalthusiani: è finita la ricchezza. Alla crescita naturale s’è sostituita la crescita consumistica basata sull’indebitamento delle famiglie. Lei va in banca, chiede un prestito, lo spende: quello diventa subito prodotto interno lordo. Ma se poi lei non paga le rate, si trasforma in un pil falso e le banche devono farsi coprire i debiti dagli stati per non fallire. Ecco, il nostro prodotto interno lordo negli ultimi anni è stato precisamente questo: nient’altro che un’illusione collettiva.