Monsignor Timothy Verdon: una rivoluzione in carne ed ossa
Monsignor Verdon spiega perché «l’idea di persona deve tutto al senso e al valore cristiano del corpo. Da qui scaturiscono la libertà e la dignità dell’individuo»
[Pagina senza pretese di esaustività o imparzialità, modificata 09/04/2024; col colore grigio distinguo i miei commenti rispetto al testo attinto da altri]
Pagine correlate: : persona, schiavitù, libertà, uguaglianza, Sharia, Cina, povertà, minori, latrocinio generazionale, solidarietà, cuore radici cristiane, moralità; homo homini lupus? Darwinismo sociale, sfruttamento; «cielo stellato sopra di me, ...», sentire con cuore e ragione
↑2010.04.06 traggo da Tempi l’articolo in titolo
di Cristina Uguccioni
Un viaggio dentro se stessi e prima ancora un percorso che si dipana attraverso la cultura occidentale alla scoperta dei suoi princìpi fondativi. L’esperienza della mostra “Gesù. Il corpo, il volto nell’arte” è un approfondimento continuo e lucido della concezione di persona e corporeità elaborata attraverso le raffigurazioni di Gesù. Una concezione che «oggi è necessario riscoprire», osserva monsignor Timothy Verdon, ideatore e curatore della mostra nonché docente alla Stanford University e alla Facoltà Teologica dell’Italia Centrale e direttore dell’Ufficio diocesano fiorentino per la catechesi attraverso l’arte. «Viviamo in una società che ha dimenticato il senso e il valore che il cristianesimo attribuisce al corpo; siamo immersi in una cultura dell’immagine che presenta ed enfatizza il corpo banalizzandolo, svilendolo, misurandone il valore in base alle performance atletiche o sessuali che garantisce. Abbiamo smarrito l’antica concezione del corpo come luogo della dignità e della libertà di ogni essere umano, del corpo come dono ricevuto da Dio, da offrire agli altri con amore, con semplice e totale generosità, come ha fatto Cristo».
Cosa c’entra una mostra di immagini sacre con il recupero della dignità del corpo umano?
La mostra vuole suggestivamente ricreare e far rivivere il mondo che è stato il contesto visivo, concettuale e spirituale degli europei fino all’età napoleonica, ossia un mondo in cui la maggior parte delle immagini viste dalle persone radunate in luoghi pubblici erano le raffigurazioni sacre: le pale d’altare, i mosaici, le vetrate delle chiese. Per almeno 17 secoli gli uomini hanno visto raffigurato soprattutto un volto, quello di Gesù, di un Dio che assume un corpo e che lo offre con amore per tutti gli uomini. L’idea di persona elaborata dall’Occidente negli ultimi duemila anni è debitrice di questa ricchissima tradizione iconografica, in cui libertà e dignità umana scaturiscono dal dono del corpo e si comunicano nel pathos dello sguardo. Proprio per ricreare questo mondo visivo, concettuale e spirituale abbiamo pensato a un allestimento che riproducesse il contesto sacro e liturgico nel quale le opere erano collocate in origine; alcuni dipinti, ad esempio, sono sistemati sopra ad un altare per evocare il rapporto visivo tra immagine e rito: diverso infatti è l’impatto che suscita una Pietà in un museo e la stessa opera sopra una mensa eucaristica.
Come descriverebbe l’esperienza emotiva e spirituale che gli uomini hanno fatto per secoli osservando queste opere nelle chiese? Qual era, e qual è ancora oggi, la funzione delle immagini sacre?
Quando guardiamo l’immagine attraente di un corpo scatta dentro di noi l’identificazione e il desiderio di emulazione: si tratta di una dinamica ben nota, che oggi la pubblicità sfrutta banalmente per scopi commerciali. Per secoli gli artisti ci hanno presentato un Gesù nel quale i fedeli riuscivano a identificarsi, un Gesù il cui volto esprime amore, compassione, tenerezza, misericordia, un Gesù il cui corpo traduce in azioni questi sentimenti, giungendo a salire sulla Croce. Osservando le immagini di Gesù, chi crede sente nascere dentro di sé il desiderio di emularlo, di diventare come lui, di donare tutto se stesso con gratuità. In passato queste immagini erano collocate nelle chiese e ciò arricchiva l’esperienza spirituale: osservando una raffigurazione di Gesù durante la Messa, il fedele non soltanto trovava un’immagine che era epifania ed apocalisse, manifestazione e rivelazione, del mistero che si celebrava sull’altare, ma – facendo la comunione – viveva la trasformazione che lo avrebbe reso sempre più somigliante al Gesù raffigurato. Per secoli l’immagine del corpo e del volto di Gesù è stata parte della vita di fede, di un processo dinamico che cambiava la vita degli uomini, rendendoli desiderosi di somigliare a Gesù e di entrare in comunione con lui.
Contrariamente al passato, oggi molte chiese, soprattutto quelle di recente costruzione, sono sguarnite di immagini raffiguranti Gesù. Come mai?
Purtroppo non solo nelle chiese ma anche nell’arte contemporanea il corpo è quasi del tutto assente e gli artisti che lavorano nell’ambito del sacro tendono a proporre raffigurazioni simboliche di Gesù, poiché vogliono evitare un realismo che richiami le immagini spesso banali e volgari che del corpo ci propongono la televisione, il cinema e la pubblicità. Con questa mostra vogliamo anche invitare la cultura cattolica e i fedeli a riscoprire l’importanza e il valore delle immagini del corpo e del volto di Gesù che sono parte costitutiva, essenziale, di quel sistema di segni di cui i sacramenti sono i punti apicali.
Le opere in mostra sono databili per la maggior parte tra il XIV e il XVII secolo, ossia il periodo che comprende la fine del Medioevo, il Rinascimento e il Barocco. Perché questa scelta?
Perché in questo periodo il corpo e il volto della persona umana tornano a essere primari portatori di significato. Nei suoi primi secoli di vita, la cultura cristiana rifiutò la grande tradizione figurativa greco-romana, considerata espressione di una cultura pagana e amorale: l’arte cristiana dei primi secoli raffigurò il corpo in modo simbolico, evitando di mostrarne in modo realistico la bellezza e la carica di affettività poiché volle prendere le distanze da quella cultura pagana che vedeva nel corpo uno strumento di piacere e un oggetto di desiderio. Poi in Italia, intorno al Duecento, in quello che molti storici definiscono pre-Rinascimento, ecco la svolta: viene riscoperta l’eloquenza unica del corpo e del volto umano della grande tradizione classica.
Quale fu la causa di questa riscoperta e rivalutazione?
Non fu in primo luogo l’Umanesimo, come molti potrebbero pensare, ma una nuova spiritualità che si stava diffondendo, guidata da san Francesco di Assisi e da altri nuovi ordini religiosi: furono loro, portando in modo nuovo la Parola di Dio nelle strade, nelle piazze, nelle campagne, a focalizzare l’attenzione dei credenti sull’umanità di Gesù. Emblematica in questo senso è l’invenzione francescana del presepio, che invita i fedeli a contemplare la nascita corporea di Gesù. È questa nuova spiritualità incentrata sull’uomo che nel Quattrocento e nel Cinquecento farà riscoprire l’arte greco-romana così adatta a descrivere il corpo con tutte le sue emozioni: il corpo di Gesù diventa il luogo in cui l’amore di Dio per gli uomini si esprime e l’arte lo rappresenta in tutta la sua naturale e attraente bellezza, portatrice di sentimenti di amore e misericordia, capace di toccare il cuore. Nelle diverse sezioni della mostra abbiamo voluto che le opere esposte mostrassero tutta le fasi della vita di Gesù, la nascita, gli intensi anni della predicazione, la morte e la Risurrezione.
Si può dire che la mostra va incontro al desiderio dell’uomo, che è anche uno dei temi delle Scritture: voler vedere Dio?
Proprio così: non si tratta di semplice curiosità, ma di un impulso fondamentale dell’esperienza giudaico-cristiana, basti ricordare quanto chiese Mosè a Chi gli parlava sul Sinai. Quando Filippo domanda a Gesù: «Mostraci il Padre», lui risponde: «Chi ha visto me ha visto il Padre». È in quel volto, è in quel corpo offerto per amore che l’uomo vede e incontra Dio e, allo stesso tempo, scopre se stesso, la propria dignità e la propria libertà, che è libertà di amare e donarsi».