Qualche nostalgico del ’68 non condivide l’espressione emergenza educativa: seconda botta

Traggo da Cooperazione tra consumatoriSett2008 p6 (vedi anche mese precedente 1ª botta) e commento

[Pagina senza pretese di esaustività o imparzialità, modificata 19/11/2023; col colore grigio distinguo i miei commenti rispetto al testo attinto da altri]

Pagine correlate: Educa, comunità educante, educazione mancata; sfida educativa, libertà di educazione

 

2023.10.12 l’Alberto Conci che 15 anni fa disdegnava che si parlasse di «EMERGENZA educativa» ora scrive su <avvisopubblico> così: L’estate appena trascorsa e l’autunno da poco iniziato verranno ricordati come le stagioni in cui è EMERSA la fragilità pericolosa della gioventù e dell’infanzia del nostro paese. Tanti, troppi i casi di violenza che li hanno visti protagonisti e vittime. La ricetta? Educare, non punire. [CzzC: quand’anche avessimo sufficienti educatori persuasori, crede ancora il nostalgico del ’68 che basti la persuasione senza la dissuasione?]

 

↑2008.09.gg  Si apre il 26 settembre Educa, il primo incontro nazionale sull'educazione. Per ritornare a riflettere sul tema dell'educazione, leva fondamentale per costruire il benessere e la qualità della vita. L'educazione come passione e relazione, di cui sono protagonisti genitori, bambini e ragazzi, educatori e insegnanti. E tutta la comunità.  di A. Conci

 

A Rovereto l’incontro Educa

L'educazione è dialogo

Alla fine del mese Rovereto ospiterà Educa, una tre giorni di incontri, seminari, spettacoli, animazione sui grandi temi dell’educazione. La manifestazione, che avrà respiro nazionale, intende offrire a tutti, e non solo a coloro che sono tradizionalmente “addetti ai lavori”, l’occasione per fermarsi a riflettere sulla fermarsi a riflettere sulla sfida educativa e sulle relazioni che nel nostro contesto sociale si stanno sviluppando fra il mondo degli adulti e quello dei bambini e dei ragazzi. Di questo ritorno della riflessione sull'educare abbiamo parlato con M.T., membro del gruppo promotore di Educa e docente presso la facoltà di Scienze Cognitive dell'Università di Trento.

M.T., quando si affronta il tema dell'educazione si parla spesso, nel nostro Paese, di emergenza·educativa, volendo in questo modo sottolineare la necessità di riaprire una riflessione sull'educare. Condivide questa prospettiva?

Condivido il contenuto, ma non l'espressione "emergenza educativa". Ritengo sia assolutamente necessario mettere al centro dell'agenda politica e sociale il tema dell'educazione, ma non in termini di emergenza, poiché il termine 'emergenza' richiama l'idea di una situazione critica, momentanea, passeggera, rispetto alla quale si auspica un rimedio altrettanto temporaneo o estemporaneo. L'educazione è invece è una questione estremamente seria [CzzC: l’emergenza non è seria?], che richiede strumenti altrettanto seri e rigorosi e soprattutto un'attenzione costante. [CzzC: la cura e l’attenzione con cui si affrontano le emergenze danno le migliori dritte - dice la protezione civile -per la costante attività di prevenzione delle emergenze e per individuare le cause-responsabilità che ne inducono le conseguenze più gravi: ti sfugge, caro prof? O sei ingannato da un pregiudizio ideologico?] Credo che il mondo politico e sociale debba porre la questione educativa al centro della riflessione pubblica, ma non perché oggi sia più importante rispetto a ieri, quanto piuttosto perché per molto tempo si è sottratta attenzione alla questione educativa. Si tratta di una priorità della vita politica e sociale che troppo a lungo abbiamo dimenticato. (CzzC: rischi la contraddizione, Sign. M., perché secondo la teoria dei sistemi, il “sottrarre attenzione” e/o “troppo a lungo dimenticare” una componente del sistema induce con altissima probabilità situazioni di “emergenza” nella funzionalità della componente stessa).

 

Dietro a questa ritrovata attenzione per l'educazione possiamo riconoscere una crisi del mondo adulto, che fatica farsi carico dell'educare, o ci troviamo di fronte a una profonda trasformazione del mondo dei bambini e dei ragazzi?

È sempre rischiosa ogni semplificazione di fenomeni complessi. Non è facile dire se il bisogno educativo vada ricondotto più a una crisi del mondo adulto o a una trasformazione “antropologica" del mondo giovanile. Porrei il problema piuttosto in una prospettiva sociale più allargata, e collocando il punto di attenzione semmai nella relazione fra le nuove generazioni e il mondo adulto, partendo dal presupposto che tale relazione si svolge sempre in un contesto socialmente connotato. Il mutamento cui assistiamo si colloca al livello di questa "relazione situata" che appare profondamente mutata. Inoltre considero segnali di attenzione anche il ritirarsi dell'educativo dalla vita pubblica, la perdita di autorevolezza di molte istituzioni educative, la delegittimazione delle professioni educative o il trasformarsi dell'educazione in qualcosa di estremamente tecnico, come le didattiche o certi percorsi di formazione che finiscono per mettere in secondo piano la relazione educativa. [CzzC: il principale problema, almeno in Italia, è la disoccupazione giovanile indotta dal latrocinio generazionale, coniugata con la vaporizzazione dei pilastri del sistema educativo-organizzativo sociale costituiti, oltre che dalla scuola, dai corpi intermedi dello stato, dalla famiglia alle associazioni di opere e di pensiero: ma nulla ci dici di chi primariamente ha iniziato a scardinare tali corpi 40 anni fa s si adopera per soffocare la sussidiarietà cattolica soprattutto in ambito educativo?] Il fatto che comunque si torni a parlare di educazione e se ne percepisca l'importanza non deve essere sottovalutato. [CzzC: la Chiesa mette l’educazione al vertice delle priorità da sempre, e tu sei qui a torcere il naso per la parola emergenza come se non fossimo davvero in emergenza educativa: forse te ne accorgerai di più fra qualche anno ...] Non dobbiamo dimenticare che l'attenzione alla dimensione educativa accompagna sempre i profondi cambiamenti della società. Tutte le volte che siamo stati in prossimità di un grande rivolgimento sociale, tutto questo è stato preceduto e accompagnato da una forte attenzione all'educativo. Questo è veramente il punto chiave, più ancora della crisi del mondo adulto o dell'ingovernabilità dei ragazzi. [CzzC: il punto chiave non è che se ne parli o una forte attenzione, ma l’agire, il fare buona educazizone o, per contro, agire per soffocare strutture educative apprezzate dai genitori per la loro efficacia]

 

La trasformazione della società in chiave pluralista e multiculturale è forse uno degli aspetti più vistosi del cambiamento sociale e pone sicuramente nuove sfide sul piano educativo, ma non manca chi evochi oggi il rifugio nei valori consolidati o nel principio di identità culturale....

La multiculturalità, vivere in un mondo globale, il confronto con la pluralità rappresentano un fatto incontrovertibile della storia con il quale, piaccia o non piaccia, dobbiamo fare i conti. E con cui le nostre identità, le nostre tradizioni, le nostre radici, devono confrontarsi. Non ha più senso il nostalgico rifugio nel ricordo delle nostre piccole comunità nelle quali tutti condividevamo un patrimonio comune e vivevamo nel cerchio caldo della nostra piccola comunità. Anzi, oggi il tentativo di forzare e rivitalizzare queste nostalgie mi preoccupa non poco, perché è un segno di grande chiusura. [CzzC: ci saranno i tradizionalisti chiusi, ma il miglior dialogo si fa nel confronto di identità e tradizioni sperimentate buone per l’uomo, non nell’annichilimento entropico su un presunto indifferentismo nel quale, peraltro, vince solitamente il diritto della forza prevarivatrice anziché la forza del diritto; non ci vorrai far credere che il problema dell’educazione stia nell’eliminare il porco dalle mense scolastiche?]. Dobbiamo invece valorizzare quella che rappresenta una delle direzioni intenzionali, per dirla con le parole del mio maestro Bertolini, dell'agire educativo la relazionalità, la dimensione del dialogo, del confronto. È questa una strada inevitabile di fronte alle sfide che il mondo globale pone ovunque, anche nelle comunità più chiuse, anche in quelle che per qualche ragione geografica magari sembrano più isolate e protette. Non è la protezione che dobbiamo cercare, oggi non possiamo non misurarci con la condizione del dialogo.

Il mondo giovanile è stato spesso dipinto come un mondo di persone dalle passioni tristi e incapace di assumersi responsabilità. Il quadro è veramente così negativo?

Da educatore dico subito che non si può mai perdere la dimensione della speranza, dell'ottimismo, della positività. Il lusso delle visioni apocalittiche sulle future generazioni lo lasciamo a studiosi della società e della psiche, oltre che a opinionisti frettolosi. Un lusso che gli educatori non si possono permettere. Da un punto di vista educativo non si può limitarsi a osservare che "è così" e chiudersi in uno spietato nichilismo o in un pessimismo cosmico. Con questo non si può però chiudere gli occhi negando l'esistenza di sentimenti, inusitati per noi, come la tristezza diffusa, l'insicurezza, la precarietà soprattutto nel mondo degli adolescenti. Tuttavia, non siamo di fronte a una colpa da far pesare sugli adolescenti. Si deve invece imparare a entrare in relazione per vedere che cosa c'è di buono in questa generazione che ci sorprende, tenendo conto che gli adolescenti non possono che sorprendere gli adulti. Il problema, semmai, è che gli adulti di oggi pensano di avere il copyright sulla condizione della gioventù e su cosa voglia dire trasgredire [CzzC: a mio avviso la tua fotografia è sfocata: non credo che la maggior parte degli adulti pensino in questo modo; vedo piuttosto frequente la casistica dell’adulto che ha alcuni dubbi perfino sul cosa non si debba trasgredire e ha molte esitazioni sul cosa si debba raccomandare al di là del mirare ad essere vincenti nelle gare sportive, scolastiche, e di carriera] e pretendono che i giovani rispondano ai loro modelli. Forse, di fronte a una generazione che ci mette un po' in scacco dovremmo accogliere più seriamente la sfida del dialogo e della relazione ...

[CzzC: forse si proietta sull’oggi il ricordo del ‘68, quando mi pare fosse più sensato descrivere il rapporto generazionale in termini di “scacco dei giovani agli adulti”: allora i giovani erano più numerosi, con acculturamento in ampio sorpasso di quello dei padri, con grandi sogni/ideali, mentre oggi si sentono minoranza in un mondo di adulti onnipresenti, forti nella difesa dei privilegi generazionali acquisiti, anche a costo di far strisciare i giovani nell’accesso a quella stabilità di occupazione che loro avevano trovato più facilmente, subito ben pagati e ben tutelati dal sindacato. Mi pare che i modelli oggi prevalenti sotto i 25 anni siano quelli esposti in TV o in discoteca, modelli troppo fragili per mettere in scacco chi dà loro i soldi per sognare. Intendo scenario “prevalente”, ma non esclusivo: ci sono ancora centinaia di migliaia di adolescenti e giovani che si spendono con entusiasmo per il bene comune, senza necessità di demolire prima di costruire e di consumare per apparire; ma la speranza che li muove è meno eterea di quella cui tu alludi senza sostanziarla in alcunché: è certezza di un futuro già vissuto buono in un’esperienza presente, non sempre idilliaca ma amante nel concreto anche quei legami che altri rifuggono perché ostacolanti l’esibizione di cui sopra; praticano un’esperienza costruttiva per sé e per gli incontrati, generante responsabilità di fronte alla comunità all'interno della “politèia”, esperienza ragionevole, corrispondente alle aspettative del cuore, metodo educativo testato da secoli di costruttività: vedo questa esperienza nei pur pochi volontari che si fermano in Parrocchia dopo la Cresima; ho visto questa esperienza nei pochi giorni che sono stato al Meeting, in tanti movimenti ecclesiali cristiani, in alcune associazioni volontaristiche anche agnostiche (meno in quelle di partito e di sindacato, nei NoTav, NoGlobal NoVari sìAnimali sìVegani dove più della speranza e della responsabilità sembrano prevalere scardinamento e sabotaggio). La traccia educativa che io e mia moglie e tante altre famiglie stiamo seguendo nel far crescere figli e nipoti nostri ed altrui nel quartiere parla di educazione anche senza mettere come precondizione l’esperienza cristiana che ci muove, non fosse altro perché è sempre minore la connotazione “cristiana” della “politèia”, ma non vi pare, A. e M., che sia una privazione di opportunità teorizzare sull’educazione a prescindere da questa storia di costruttività esperienziale ? Non vi pare che sia un approccio banale quello di cincischiare con ben due articoli sulla inopportunità del termine “emergenza-educativa”, facendo sospettare che lo facciate banalmente per distinguervi da chi lo ha accoratamente formulato a partire dalla suddetta storia di educazione costruttiva? Cito da <vatican.va> «Si parla perciò di una grande "emergenza educativa", confermata dagli insuccessi a cui troppo spesso vanno incontro i nostri sforzi per formare persone solide, capaci di collaborare con gli altri e di dare un senso alla propria vita.» [CzzC: vedi anche intervista a Jean-Louis Bruguès gen 2009]

 

L'educazione tende a costruire non solo persone compiute, ma anche cittadini responsabili. È possibile educare alla cittadinanza attiva?

Ritengo che l'educazione alla cittadinanza attiva sia una priorità assoluta dell'educare. Perché l'educazione alla cittadinanza attiva è lo spazio in cui si incontrano la dimensione educativa e quella politica: è il luogo in cui la dimensione educativa rivela la sua natura intimamente ed essenzialmente politica, e la politica rivela la sua stretta connessione con la dimensione dell'educativo. In questo senso l'educazione alla cittadinanza attiva è estremamente importante, non solo perché l'educativo si riappropria qui di un luogo in cui esercitare i propri diritti, ma anche perché si spezza la sudditanza dell'educazione dalla politica, superando l'idea che l'educazione non sarebbe altro che il territorio simbolico nel quale applicare decisioni prese altrove. L'educazione alla cittadinanza attiva è un modo per ribaltare questo rapporto in maniera virtuosa, educando, al senso di responsabilità di fronte alla comunità politica, all'interno della politèia, come la definisce Hannah Arendt.

Per realizzare questo tipo di educazione ci vogliono esperienze che si collocano a cavallo fra la scuola e l'extra-scuola. La scuola è lo spazio fondamentale di formazione istituzionale dei cittadini, perché è nel suo mandato quello di formare i futuri cittadini, ma ha il limite interno di essere vincolata al suo essere istituzione per la riproduzione sociale; sull'altro versante stanno crescendo fuori dalla scuola moltissime esperienze dirette di carattere educativo, volte proprio alla promozione di una consapevole cittadinanza attiva, che hanno però il limite di essere episodiche, effimere, per molti ma non per tutti [CzzC: non essere per tutti sarebbe negativo se ci fosse un’esclusione settaria verso nuove adesioni, ma potrebbe trattarsi invece di un’esperienza “non di tutti” per il semplice esplicarsi della libertà di scelta/adesione, dinamiche ovvie nella realtà che non equivalgono a “limite” in termini valoriali]. Ecco credo che una delle frontiere educative più interessanti in termini di educazione alla cittadinanza passi proprio dalla collaborazione fra le esperienze espresse sul territorio e la scuola [CzzC: con esclusione di quelle identitarie come quella scuola che vieta la visita alla vicina mostra del Beato Rivi perché infangherebbe la resistenza?]

m.t@unitn.it)

(CzzC suppongo, cari A. e M., che voi siate al corrente che nella scuola dello stato o della PAT non sono pochi i “maestri” che ridicolizzano davanti ai loro ammaestrati le “esperienze espresse sul territorio” da matrice cattolica, dalle Parrocchie ai Movimenti ecclesiali, preferendo semmai la creazione di agenzie educative intra ed extra-scuola con psicologi ed animatori “più neutri”; magari con generosi budget a iscritti o simpatizzanti di associazioni a voi più gradite? Della serie che, millantando neutralità, ammaestrano con sermoni del tipo «Niente di nuovo nel papa-pensiero sull’educazione: una sventagliata di banalità pedagogiche in fondo innocue …»? Non teme irrisione l’esperienza educativa promossa dal Magistero petrino, né nega collaborazione con qualunque educatore di buona volontà che rispetti le identità generanti esperienze di vita amata. Per dirla col Papa, c’è bisogno del contributo di ognuno di noi, di ogni persona, famiglia o gruppo sociale, perché la società, a cominciare da questa nostra città, diventi un ambiente più favorevole all’educazione]