Ratzinger al CONVEGNO NAZIONALE DI VERONA/2006: Fede e intelligenza sono amiche contro le insidie secolariste, dice il Papa
L''insidia del secolarismo, necessità di una fede amica dell'intelligenza e una prassi di vita caratterizzata da ...
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Pagine correlate: Chiesa; sinodi; fede e ragione,
↑2011.09.08 Dal convegno di Verona 2006 parole nuove sul tema dell'affettività e dell'educazione all'amore. La teologa Ina Siviglia prospetta di far dare la comunione a conviventi etero ed omo, senza se/ma e senza ricordare la già vigente comprensione della Chiesa per certi casi particolari; il pedagogista di UniCatt Domenico Simone ricorda che l’amore diviene ‘fecondo’ quando è aperto al dono e alla vita” e, per giungere all’amore adulto, è necessario passare dall’amore egocentrico alla centralità dell’altro; ma l’articolo di VT #35 pag 15, non firmato, introduce surrettiziamente con un ANCHE la testimonianza di Simone, come se fosse perfettamente in linea con quella di Ina]
↑2007.05.21 - 23 <chiesacatt.pdf> “RIGENERATI PER UNA SPERANZA VIVA” (1 Pt 1,3): TESTIMONI DEL GRANDE “SÌ” DI DIO ALL’UOMO; nota pastorale dell’Episcopato italiano dopo il 4° Convegno ecclesiale nazionale "Testimoni di Gesù risorto, speranza del mondo", tenutosi a Verona dal 16 al 20 ottobre 2006.
↑2006.10.19 <google> Reazioni diverse al gran discorso <vatican> che promuove la chiesa di Ruini e invita a una carità solidale “non ideologica”. [CzzC: Parole chiave: fede Gesù risorto speranza incontro valori secolarizzazione Ratisbona; Chiesa; spirito del mondo; che ne pensa Melloni?]
Verona. Nell’omelia del pomeriggio allo stadio di Verona, Papa Benedetto è tornato col suo noto puntiglio filologico sul titolo del Convegno ecclesiale, “Testimoni di Gesù risorto, speranza del mondo”, spiegando da professore che “di” Gesù significa “l’appartenenza a Lui”, a differenza della preposizione articolata “del” mondo, che non indica per nulla l’arrendevolezza al secolo. Giusto per ribadire che essere testimoni di “un fatto accaduto”, la resurrezione, come aveva detto al mattino in fiera, è “la più grande mutazione mai accaduta” e che “all’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, ma l’incontro con la persona di Gesù Cristo”. Insomma un’antropologia diversa, non una diversa visione antropologica. Perché “è opera di Dio e non nostra”, proprio come la “novità sconvolgente di questo Logos che sa amare”. Basterebbero questi spiccioli di una lunga giornata per segnare una discontinuità, come si suol dire, e liquidare le pesature col bilancino o un tanto al chilo sulla percentuale di conciliarismo e wojtylismo, sulla percentuale di lucidatura ruiniana applicata al rigore mentale ratzingeriano. Per il resto, basta l’evidenza di un convegno aperto con una prolusione nel segno di Paolo VI, e chiuso con un discorso ripartito da Giovanni Paolo II; un convegno che si era aperto sulla chiusura a doppia mandata verso coloro che “si dicono cristiani e non lo sono” e si è chiuso con un appello ai cattolici italiani a “cogliere questa grande opportunità” rappresentata “da molti e importanti uomini di cultura, anche tra coloro che non condividono o almeno non praticano la nostra fede”, che sentono la crisi del razionalismo occidentale. Una discontinuità fisicamente percepibile e capace di imporsi anche alle diverse sensibilità, tanto che “uno si sente quasi obbligato a cedere davanti a una forza convincente così”, come diceva un delegato milanese.
Poi si applaude sempre a squadre. Chi applaude il passaggio sulla chiesa “che non intende essere un agente politico”, rilanciando in materia la responsabilità (ma non l’autonomia) dei laici; chi applaude i lunghi passaggi sulla famiglia e i pacs; chi come Savino Pezzotta dice che “in una situazione in cui tutto va al mercato e non ci sono più limiti, è importante aver detto che c’è qualcosa che non è vendibile, che fa parte della dignità umana”; e chi come la teologa Ina Siviglia, già relatrice a Palermo, ammette che “dieci anni fa c’era il vangelo della carità per l’Italia, oggi c’è l’annuncio della fede pura in Cristo”.
Quanti lo seguiranno?
L’impatto reale sulla chiesa italiana della giornata di Benedetto XVI sarà ovviamente da valutare, mentre tornano anche i commenti già sentiti sul suo predecessore, sul “Papa molto applaudito ma poco ascoltato”. Per il leader di Cl, Giancarlo Cesana, Ratzinger ha comunque “dettato il programma della chiesa. Dal punto di vista concettuale, richiamandosi a Ratisbona e ancor più mirabilmente indicando la ‘fede amica dell’intelligenza’ che ha contrassegnato il cristianesimo ai suoi inizi. E poi dal punto di vista operativo, non solo indicando con chiarezza i valori ‘non negoziabili’, ma anche l’opportunità di collaborare con tutti coloro che questi temi riconoscono come decisivi. Non è scontato, ha saltato l’ecclesialese. La domanda è: quanti lo seguiranno?”. Lo storico Alberto Melloni, esponente di spicco della “scuola bolognese” conciliar-giovannea, sottolinea piuttosto che quello di Ratzinger, “confrontato col discorso di Giovanni Paolo II a Loreto, è stato un discorso più da Papa che da Primate d’Italia, molto meno puntuale sul come e sul dove intervenire nella società. Ha insistito sui grandi temi del suo pontificato, forse più europei che italiani, con l’aggiunta di una novità, la battaglia sul darwinismo e l’apertura al disegno intelligente”.
Meno politico del cardinal Ruini, distante dal livello politico ecclesiale italiano. E con il problema della futura guida ai vertici della Cei rimandato senza altri segnali (tranne il fatto che il predestinato, dopo la giornata di ieri, non sembra essere il cardinal Tettamanzi). Questi i rilievi critici di quanti hanno preferito ieri non notare il grande rilievo che invece Benedetto XVI ha dato al “ruolo speciale” che la chiesa italiana, un modello e una “presenza capillare”, può esercitare in tutta l’Europa. E chissà l’effetto che ha fatto quella staffilata finale, dopo tanti elogi, sul pericolo di una “secolarizzazione interna della chiesa”.