↑2012.09.20 trassi questo testo da questo link
Conferenza Episcopale Italiana
Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali
Ufficio nazionale per la pastorale della famiglia
Convegno in occasione della 38ª Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali
Roma, 21-22 maggio 2004 Pontificia Università Lateranense
Esperienze e percorsi
Presidente Aiart del Trentino
Mi è stato chiesto di portare una testimonianza concreta di attività formative per la famiglia nel campo dei media, ma quello che posso condividere è innanzitutto un’esperienza.
Sono più di trent’anni, infatti, che in diocesi di Trento, grazie alle intuizioni di una donna, la dott.ssa Zita Lorenzi, e alla sensibilità pastorale di un arcivescovo, mr. Gottardi, si è dato spazio ad una riflessione sulla portata culturale della comunicazione mediatica e ad un’azione concreta di formazione ai linguaggi audiovisivi, che affiancasse il più tradizionale uso dei media nella chiesa per comunicare il proprio punto di vista, esperienze di fede vissuta e idee. Dall’inizio degli anni ’70, il problema è quello al centro di questo convegno: in che modo promuovere la ricchezza rappresentata dalla tecnologia comunicativa e dai linguaggi ad essa collegati, attenuandone invece i condizionamenti. La risposta è puntare alla sensibilizzazione delle persone nei confronti del fenomeno mediatico, alla formazione di competenze specifiche e all’utilizzo creativo, per quanto possibile, dei media stessi. Educare gli spettatori a muoversi tra una stereotipazione omologante al basso ed una complessità simbolica che rappresenta la ricchezza e la risorsa propria di questi linguaggi, anche sul piano della spiritualità e della formazione interiore.
Come indurre, però, le persone e le comunità a comprendere ed apprezzare l’opportunità che è offerta al nostro tempo di utilizzare un sistema più completo ed equilibrato di quello astratto e razionale che ha caratterizzato la cultura degli ultimi secoli, è il vero problema.
Per quanto riguarda la nostra esperienza, la via percorsa è stata triplice: la scuola, il tempo libero dei ragazzi e quello dei genitori.
La scuola, specie nei decenni passati, si è interessata al discorso e alle proposte di aggiornamento a motivo di competenze specifiche, cognitive e linguistiche (anche se va rilevata una sproporzione tra l’aggiornamento profuso e i risultati finora ottenuti; la difficoltà ad integrarsi dei due sistemi culturali - quello pedagogico-disciplinare tradizionale e quello audiovisivo - accompagnata spesso da un’incomprensione della complessità della comunicazione audiovisiva che conduce, non alla complementarietà dei modi espressivi, bensì alla giustapposizione e ad un utilizzo superficiale ed occasionale).
Il tempo libero dei ragazzi, in questi decenni, lo abbiamo visto contrarsi progressivamente, fagocitato dalla scuola e dalla specializzazione extra-scolastica, a danno di esperienze ludico-ricreative socializzanti non istituzionalizzate. Il tempo per le proposte formative-ricreative è rimasto quello dei campeggi estivi, dei campi-scuola, dei Grest. Negli ultimi anni, tuttavia, si comincia a vedere un interesse anche in qualche catechista per percorsi di educazione alla fede che passino attraverso il vissuto dei ragazzi e, dunque, anche dei messaggi e dei media che essi fruiscono quotidianamente. Si tratta per lo più di “navigazioni a vista”, costruite di volta in volta, che riguardano i percorsi di preparazione alla cresima e il post-cresima, che avrebbero bisogno di luoghi di confronto e di verifica con altri sperimentatori (ma questo potrebbe interessare un futuro convegno per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, coinvolgendo oltre all’Ufficio Famiglia, anche quello Catechistico).
Quanto alla Famiglia è il soggetto più difficile da intercettare. Fino alla fine degli anni ’70 i genitori percepivano la televisione - il mezzo allora nettamente dominante - come un’alleata preziosa (la tv aveva ancora un progetto comunicativo che, se non era più pedagogico, manteneva comunque un’idea di servizio e di responsabilità pubblica. Inoltre reggeva ancora la logica delle fasce orarie d’ascolto). Dagli anni ‘80 ad oggi i genitori si sono accorti che le cose non sono semplici, ma non sanno in che modo affrontare la complessità culturale ora evidente e la sproporzione delle forze in gioco.
Quelli che rispondono alle proposte di informazione e di sensibilizzazione (il canale più efficace è ancora rappresentato dalla scuola, negli incontri serali all’interno di progetti-salute o progetti formativi d’istituto) sono in genere le persone che hanno una preparazione culturale e che sono già attente all’utilizzo degli strumenti audiovisivi. E tuttavia anche in loro si avverte ilo più delle volte la ricerca di uno strumento che risolva il problema in modo facile e definitivo: un canale sicuro cui poter affidare i ragazzi, un decoder che filtri tempi e messaggi. Una bacchetta magica, insomma. La famiglia sembra aver delegato alla scuola il dialogo educante quotidiano che è, insieme, intellettuale, affettivo e spirituale, e che trae spunto da ogni incontro con la realtà o la sua rappresentazione, tenendo per sé l’ambito pragmatico ordinario e le scelte straordinarie, di studio o di vita.
Per rispondere a questo tipo di lamentela ripetuta nel tempo e negli incontri, ad un certo punto abbiamo pensato di fare un passo indietro rispetto alla proposta consueta e di offrire un progetto che passasse sempre per la scuola, ma con obiettivi preliminari rispetto alla formazione, e al tempo stesso gratificasse le famiglie attraverso la possibilità di un’azione concreta.
La proposta, lanciata con lo slogan “Spegni la Tv… accendi le idee”, era quella di una settimana di “tv spenta” coordinata con gli insegnanti e le realtà associative del territorio, che aiutasse la famiglia a rendersi conto in primo luogo del ruolo occupato dalla televisione all’interno della propria vita; la attivasse a trovare alternative al tempo “liberato”, verificando da un lato la propria capacità di iniziativa e dall’altro le risorse presenti sul territorio, all’esterno della scuola.
A fianco di questa modalità attuata in più scuole dell’obbligo, abbiamo pensato di lanciare l’idea anche alle famiglie, direttamente, utilizzando il canale ecclesiale e un tempo liturgico come la quaresima, che si presta in modo “naturale” all’astinenza e all’ascolto. Si trattava sempre di un “digiuno attivo”, uno spegnere il televisore per verificare alcune condizioni, dare l’opportunità di esperire modalità diverse di vita quotidiana, e condurre ad una nuova consapevolezza nel rapporto con il mezzo televisivo.
Per fare questo senza l’intervento organizzativo di insegnanti, esperti aiart e associazioni culturali di vario tipo, insieme al Centro Famiglia, abbiamo pensato ad una cartella attiva che supportasse in modo facile e diretto la settimana alternativa: una cartella colorata, suddivisa in giornate, che parlasse direttamente ai bambini. È nata così la versione “Spegni la tivù…accendi la famiglia” con una prima settimana del tutto alternativa alla comunicazione televisiva, e una seconda in cui le attività proposte svolgessero una prima elementare introduzione ai linguaggi audiovisivi come disegnare, creare fumetti, strumenti musicali, fare cinema e teatro.
Di queste cartelle, dal primo anno ad oggi, sono usciti, su richiesta di singoli e parrocchie, più di 2000 esemplari. La natura familiare e libera della proposta non permette di testare i risultati, che sono più visibili nell’ambito scolastico. I genitori stessi, va detto, rispondono di più ad una proposta socializzata che si avvale di un supporto organizzativo forte, come quello scolastico. Ma le due strade credo debbano procedere insieme, perché l’obiettivo vero è ridare iniziativa alla famiglia in quanto soggetto educante. Un test di verifica potrebbe essere il lancio di una terza settimana, mirata sui linguaggi e sui generi televisivi, sempre restando nell’ambito ludico e ricreativo, passo che non abbiamo ancora affrontato e che valuteremo nelle prossime settimane insieme al Centro Famiglia.
L’esperienza, comunque, sottolinea la necessità di iniziative di “formazione leggera”, per ridondanza, come quella ludica, che formi nella varietà, nella ripetizione e nella molteplicità di stimoli occasionali. In questa prospettiva pensiamo possa essere un contributo anche l’attenzione settimanale prestata da alcuni volontari dell’Aiart alla programmazione televisiva e a quella cinematografica di sala, per portare alla luce i modelli di famiglia e di società che sottendono fiction, pubblicità, reality show e informazione. Il canale è la rubrica fissa nella pagina tv del settimanale diocesano e l’appuntamento radiofonico. In questi spazi si cerca di dare evidenza anche a pubblicazioni e a manifestazioni con analoghe finalità formative. Un ulteriore passo sarebbe la creazione di un sito web in cui rendere fruibili queste informazioni e analisi, insieme ad una selezione di contributi teorici di base. Se, infatti, nel campo cinematografico esiste uno strumentodi orientamento e di valutazione ecclesiale, in quello televisivo la Famiglia si trova senza punti di riferimento. Credo sarebbe da riflettere sull’idea di una rete tra settimanali cattolici per la segnalazione e il commento di programmi televisivi in una prospettiva condivisa che superi l’aspetto informativo e diventi vero e proprio progetto culturale.
Famiglia, però, non vuole dire solo realtà costituite da tempo con figli medio-piccoli. Ci sono famiglie in formazione, e ci sono famiglie anziane, con figli a loro volta sposati.
Su sollecitazione del Centro Famiglia di Trento, abbiamo provato a ipotizzare delle proposte da inserire nei percorsi di formazione dei fidanzati che permettessero di affrontare tematiche legate alla coppia, alla sessualità, alla fecondità, a partire dall’analisi di messaggi provenienti dalla cultura mass-mediale, come spot pubblicitari e film. Si tratta di tentativi che cercano di colmare la distanza tra la cultura teorica e quella quotidiana. Le schede audiovisive presenti nei “Dossier di contenuti, obiettivi, esemplificazioni metodologiche” per corsi e itinerari di preaprazione al matrimonio, potranno sembrare ingenue e poco rifinite, ma rientrano anch’esse in questa logica di formazione leggera e a cascata che si genera progressivamente attraverso la sperimentazione. E così le esperienze di riflessione sul modello familiare e la sua rappresentazione nella produzione cinematografica recente, che si stanno diffondendo nonostante i problemi legati all’utilizzo di supporti diversi dalla pellicola, oppure i “focus-group” utilizzati per far emergere le modalità in cui i racconti televisivi vengono recepiti e rielaborati dalle persone nel proprio vissuto. L’obiettivo è quello di giungere presto ad una documentazione condivisibile di tali esperienze, e di rendere disponibili attraverso il sito associativo nazionale dell’Aiart tracce di analisi e griglie-guida.
Un’altra proposta è quella di valorizzare la figura dei nonni e la loro presenza vicino ai bambini con funzioni vicarie rispetto ai genitori.
In questo caso il canale può essere quello parrocchiale dei gruppi anziani, oppure quello dell’Università della Terza Età, o ancora di singole realtà associative. La proposta formativa “Nonni in gioco” mira a sensibilizzare gli anziani nei confronti della comunicazione mass mediale e multi-mediale; ad informarli sui caratteri della comunicazione televisiva e sull’orizzonte di nuovi media e video-giochi; infine a valorizzare la risorsa educativa che essi rappresentano come mediatori culturali di conoscenze, valori, stili di vita, di gioco tradizionale, di identità.
La formazione dell’identità, sia a livello personale che culturale, è una delle urgenze legate alla cultura mediatica che chiederebbe particolare attenzione in questo momento di trasformazione radicale della società occidentale. Il tema ha costituito il filo conduttore del progetto formativo dell’Aiart negli ultimi anni ed ha portato all’elaborazione di una scheda progettuale per l’ambito scuola-famiglia (“Media e identità culturale”). Con l’aiuto della Provincia di Trento, inoltre è stato pubblicato un percorso cinematografico per la scuola dal titolo “Primo tempo. Cinema e adolescenza: l’identità mediata” che prende spunto da questo progetto e che può essere utilizzato anche in altre situazioni educative. La struttura dello strumento, che fa parte di una collana didattica tematica, conferma la scelta metodologica di iniziative concrete facilmente realizzabili, anche da parte di chi non abbia competenze specialistiche, nella speranza che il contributo descritto, per quanto piccolo, possa aiutare a far crescere la sensibilità e un’identità culturale più consapevole all’interno della comunità ecclesiale e della famiglia.