Documenti relativi alla DICHIARAZIONE ISLAMICA DEI DIRITTI UMANI diversa dalla nostra
- Temiamo che i regimi della sharia abbiano preteso dall’ONU il riconoscimento di una loro dichiarazione dei diritti umani diversa dalla nostra anche – se non soprattutto - per poter comminare male fisico ad abiuri ed infedeli ottemperando al profeta in onta gli art.18-19 della nostra dichiarazione;
- temiamo che ciò configuri il movente primario del terrorismo jihadista e che, dunque, non bastino armi e polizia a contrastare il terrorismo islamico finché culleremo regimi che uccidono abiuri e blasfemi.
- <jus.unipi.it>: diritto musulmano, pene-hadd apostasia, blasfemia, ...
Vedi qui 2007 per DOCUMENTI DI RIDERIMENTO,
Comunque confidiamo in spiragli di apertura: ad es. 2017.02.07 ulema del Marocco cancellano ....
[Pagina senza pretese di esaustività o imparzialità, modificata 08/02/2024; col colore grigio distinguo i miei commenti rispetto al testo attinto da altri]
Pagine correlate: art.18 nell’Islam; riformi educazione; inarrestabile il terrorismo se culliamo regimi che uccidono abiuri e blasfemi
↑2017.02.07 Gli ulema del Marocco: non più pena di morte per apostasia: con la fatwa di oggi gli Ulema rinnegano la loro di 5 anni fa (qui2012), quando, per rispondere ad una questione giuridica sollevata sulla pena di morte agli apostati, il Consiglio degli Ulema aveva fatwato in linea con gli altri paesi musulmani [CzzC: ma, per fortuna, il codice civile non recepì tra le cause della pur vigente pena di morte quella di apostasia e si limitò all’espatrio per gli apostati. Ora la revisione con questa motivazione: "La comprensione più accurata, e la più coerente con la legislazione islamica e la Sunna del Profeta, è che l'uccisione dell'apostata significava l'uccisione del traditore del gruppo... che poteva rivelare segreti agli avversari". Dunque si possono riformare intendimenti e comportamenti anche senza dire che cambia la legge divina: coraggio fratelli islamici moderati, avanti così!]
↑2007.11.19 Traggo da La stampa - islam e democrazia, scienze politiche, Torino 19/11/2007
In caso di discordanza tra gli intendimenti islamici e la nostra dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, l'OCI (Organizzazione della Conferenza islamica) contempla che si facciano prevalere i princìpi islamici sugli intendimenti della nostra dichiarazione del 1948 in edizione inglese, senza contare il fatto che non siamo sicuri che le traduzioni islamiste della nostra dichiarazione non ne alterino gli intendimenti. In Wikipedia vedi un po’ di storia, analisi e considerazioni.
DOCUMENTI DI RIFERIMENTO
Nel discorso sul rispetto dei diritti umani in Medio Oriente, rivestono una rilevanza particolare le conferenze e documenti che elenchiamo qui di seguito. Sono documenti di riferimento ma, con l’eccezione della Costituzione della Repubblica islamica dell’Iran, non hanno il valore di legge. Ne discutiamo in ordine temporale.
La Conferenza internazionale sui diritti umani di Teheran del 1968
In questa occasione Sultanhussein Tabandeh, nato nel 1914 e, come il padre, leader dell’ordine mistico Nimatullahi, associato allo sciismo duodecimano praticato in Iran, presentò il suo commentario sui diritti umani. Il suo obiettivo era consigliare i rappresentanti dei paesi islamici su quale posizione prendere a proposito della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948. Il commentario, già pubblicato in persiano nel 1966 e in traduzione inglese quattro anni dopo, critica gli standard occidentali, in particolare per quanto riguarda i diritti delle donne.
La Carta dell’OIC (Organizzazione della Conferenza islamica, cui appartengono tutti i paesi islamici) del 1972
Nel preambolo si dichiarano i diritti umani compatibili con l’islam [CzzC: perché ce ne sarebbero di incompatibili?] e si sottoscrive l’impegno per il loro rispetto: «I membri sono risoluti nel preservare i valori spirituali, etici, sociali ed economici islamici, che rimarranno fattori importanti per raggiungere il progresso dell’umanità. E riaffermano il loro impegno alla Carta dell’ONU e ai diritti umani fondamentali, i cui propositi e princìpi costituiscono la base per una prospera collaborazione tra tutti i popoli». Di fronte alla richiesta di maggiori diritti da parte della popolazione, diritti che potrebbero indebolire l’autorità dello stato o minacciare l’ordine morale della società, i governi dei vari paesi hanno però strumentalizzato l’islam, utilizzandone i princìpi per limitare le libertà individuali e collocare gli individui in una posizione subordinata rispetto al governo e alla società. Di conseguenza, l’attuale posizione dell’OCI, ma anche di Arabia Saudita, Egitto, Iran, Pakistan e Sudan, è che in caso di conflitto i princìpi islamici prevalgono sui diritti umani.
La tesi di Mawdudi
Nel corso di una conferenza a Lahore (Pakistan) nel 1975, pubblicata in traduzione inglese l’anno successivo con il titolo Human Rights in Islam, l’intellettuale sunnita Sayyid Abul Ala Mawdudi (1903-1979), fondatore nel 1941 del movimento islamico radicale Jamaat-i Islami, avente l’obiettivo di ristabilire la legge islamica e costituire uno stato islamico in Pakistan, dichiarò: «Nell’islam, i diritti dell’uomo sono quei diritti garantiti da Dio. Di conseguenza, nessun individuo o istituzione ha l’autorità per sospenderli o annullarli, a differenza di quanto può invece avvenire nel caso di diritti garantiti da sovrani o parlamenti che possono cancellarli con la stessa facilità con cui li concedono». Mawdudi individuò i seguenti diritti umani fondamentali: il diritto alla vita; il diritto alla tutela della vita; il rispetto per la castità delle donne; il diritto a uno standard minimo di vita; il diritto dell’individuo alla libertà; il diritto alla giustizia; l’uguaglianza tra esseri umani senza discriminare in base al colore della pelle, alla razza e alla nazionalità; [CzzC: non leggo in base alla religione cioè nel rispetto dell’Art. 18, libertà di credo e libertà di cambiarlo] il diritto di collaborare con i virtuosi e di non collaborare con i malvagi e gli aggressori. Per i cittadini di uno stato islamico, a questi diritti Mawdudi aggiunse la sicurezza della vita e della proprietà, la protezione dell’onore, la santità e la sicurezza della vita privata, la sicurezza della libertà personale, il diritto di protestare contro la tirannide, la libertà d’espressione, la libertà di associazione, la libertà di coscienza, la protezione dei sentimenti religiosi, [CzzC: intende dire che la protezione dei sentimenti religiosi dei non islamici potrebbe avvenire per speciale concessione degli stati islamici (regime Dhimmi)? Magari comprata col pagamento di una imposta di compensazione ovvero una tassa di protezione (Jizya)?] la protezione dall’imprigionamento arbitrario, il diritto alle necessità di base, l’uguaglianza di fronte alla legge, il fatto che i sovrani non godano dell’immunità di fronte alla legge, il diritto di evitare il peccato, il diritto di partecipare negli affari dello stato.
La Dichiarazione islamica universale dei diritti dell’uomo è stata pubblicata il 19 settembre 1981 a Parigi, presso la sede dell’Unesco, dai rappresentanti di Arabia Saudita, Egitto, Pakistan e altri paesi sotto gli auspici del Consiglio Islamico d’Europa (Islamic Council of Europe), un organismo privato fondato a Londra nel 1973 e affiliato alla Lega musulmana mondiale, un’organizzazione internazionale non governativa che rappresenta i musulmani conservatori e ha sede in Arabia Saudita. Stilata sulla falsariga della Dichiarazione universale dei diritti umani, emanazione delle Nazioni Unite, la Dichiarazione islamica universale dei diritti dell’uomo ha l’obiettivo di mostrare che il Corano e la legge islamica non si pongono in antitesi rispetto alla moderna concezione dei diritti dell’uomo. Ma presenta evidenti problemi di traduzione: l’originale arabo fa continuo riferimento alla legge islamica (sharia), mentre la traduzione inglese e quella francese citano rispettivamente i termini law e loi, fuorviando il lettore che, solo alla fine del volume, scopre in una nota che la legge è sempre quella islamica. Le conseguenze sono evidenti per quanto riguarda i diritti delle donne e delle minoranze, la libertà religiosa e quella di espressione, non tutelate adeguatamente rispetto a quanto avviene invece nella Dichiarazione universale dei diritti umani.
La Costituzione della Repubblica islamica dell’Iran (promulgata il 24 ottobre 1979 ed emendata il 28 luglio 1989)
Nel preambolo si legge che essa «si basa su princìpi islamici» ed, effettivamente, concede molto potere al clero sciita. Questo documento, di matrice sciita duodecimana, ha sostituito la Costituzione del 1906, ottenuta dagli iraniani durante la prima rivoluzione del Novecento, il cui obiettivo era limitare lo strapotere del sovrano. Ad agire all’inizio del Novecento furono religiosi e laici insieme e, per questo motivo, la Carta del 1906 fu il risultato di molti compromessi che lasciarono insoddisfatti gli esponenti di entrambe le fazioni. La Costituzione della Repubblica islamica dell’Iran voluta da Ruhollah Khomeini nel 1979 trae ispirazione dal modello di carta costituzionale francese ma, a differenza di questa, non tutela la libertà religiosa, anche se all’articolo 23 è fatto espressamente divieto di «interrogare o attaccare le persone a causa della loro fede», e viene quindi messa formalmente fuori legge la persecuzione religiosa. Al di là della lettera dell’articolo costituzionale, rispettato per le minoranze cristiana, ebrea e zoroastriana, la Repubblica islamica dell’Iran è, da decenni, teatro di persecuzioni della minoranza baha’i in quanto ritenuta colpevole di avere abbandonato l’islam, a metà Ottocento, per seguire un nuovo profeta. Nell’islam, infatti, Maometto è ritenuto «il sigillo dei profeti», vale a dire l’ultimo. La Costituzione della Repubblica islamica dell’Iran, inoltre, non fa distinzione tra reati politici e reati religiosi giacché al secondo paragrafo dell’articolo 168 si legge: «La definizione di un reato politico… è determinata dalla legge in base ai princìpi religiosi». Di conseguenza, i reati politici sono reati anche religiosi. Detto questo, la magistratura iraniana si è dimostrata restia a condannare a morte gli individui sulla base della legge islamica, nel timore di mettere in imbarazzo il governo. Per questo motivo, sono spesso addotti altri pretesti, lontani dalla religione e per esempio attinenti la sicurezza dello stato, e i vertici di Teheran riconoscono formalmente l’autorità e il carattere universale degli standard internazionali sui diritti umani. Questo è vero, in particolare, dopo la morte dell’ayatollah Khomeini, avvenuta nel giugno 1989. Pochi mesi prima, il carismatico leader iraniano aveva condannato a morte con una fatwa (decreto religioso) lo scrittore angloindiano Salman Rushdie, colpevole, secondo l’ayatollah, di avere oltraggiato l’islam, il Corano e il profeta Maometto nel suo romanzo Versi satanici. Poco importò a Khomeini se fosse legittimo per un esponente del clero sciita, dal punto di vista della sharia, emanare una condanna a morte nei confronti di un musulmano sunnita con passaporto britannico, senza peraltro dargli la possibilità di replicare ed eventualmente di difendersi. Khomeini, inoltre, non aveva letto il romanzo di Rushdie e la sua condanna a morte, pronunciata il 14 febbraio 1989, fu motivata dalle immagini delle manifestazioni di protesta in varie parti del mondo, mostrate dalla televisione. Cinque giorni dopo, il 19 febbraio, Khomeini comunicò che la condanna a morte era irreversibile, e quindi valida anche se lo scrittore si fosse pentito di quanto scritto. Il 16 marzo l’assemblea dell’Organizzazione per la Conferenza islamica (OCI) definì il romanzo di Rushdie blasfemo, ma nessun paese osò ribadire la condanna a morte pronunciata da Khomeini il quale, tre mesi dopo, morì lasciando una pesante eredità, in politica estera, ai suoi successori. In questi decenni, nel tentativo di superare l’impasse, il clero sciita al potere in Iran ha cercato di distogliere l’attenzione dalle motivazioni religiose (eresia) della condanna a morte di Rushdie e ha insistito nel definirlo un agente della CIA e del Mossad, al soldo del capitalismo e dell’imperialismo occidentale.
La Conferenza mondiale sui diritti umani di Vienna del 1993
Un ulteriore momento importante, nella discussione sui diritti umani in Medio Oriente, è stata la Conferenza mondiale sui diritti umani di Vienna nel 1993, quando i paesi islamici si chiesero se i diritti umani sono universali o piuttosto emanazione dell’Occidente: Iran, Iraq e Arabia Saudita proposero alla commissione delle Nazioni Unite di presentare, come alternativa alla Dichiarazione universale dei diritti umani, la Dichiarazione del Cairo che raccoglieva i consensi dei paesi islamici sulle questioni inerenti i diritti umani: pur avendo posizioni diverse in merito alla religione, questi tre paesi erano accomunati da continue violazioni dei diritti umani e cercarono dunque un escamotage. Al termine della Conferenza di Vienna, i partecipanti dichiararono: «La natura universale di questi diritti e libertà è fuori questione». Ma la dichiarazione presenta comunque elementi di ambiguità, in quanto fu sottolineato «il significato di particolarità nazionali e regionali e varie eredità storiche, culturali e religiose di cui occorre tenere conto». Queste ambiguità, presenti nel documento finale, fecero il gioco dell’Arabia Saudita e dell’Iran. Due stati che, per essere accettati dalla comunità internazionale, non possono permettersi di negare la natura universale dei diritti umani, ma che cercano di nascondere le loro continue violazioni dietro il paravento del relativismo culturale e religioso.
[CzzC: eccellente maestria di ambiguità, che, peraltro, sta comoda anche ai potenti devoti della dea ragione masso-illuminista per proteggere i loro interessi oleosi e la supremazia del petroldollaro sostenuta - guarda caso - dai wahhabiti, gli islamisti più sostenenti la dichiarazione islamica, più calpestanti il suddetto Art.18, primi compratori al mondo di armi; alla faccia dei poveri cristiani perseguitati, vittime predilette dell’ambiguità in parola. Chi se ne frega, sogghignano i suddetti gnomi della finanza petroldollarata; come? Perché i devoti di quella dea pecunia avrebbero invisi i cristiani e soprattutto i cattolici? Probabilmente perché sarebbero più unici che rari al mondo a coltivare una fede veramente amica della ragione e amica del vero bene comune, costasse una dottrina sociale critica sugli aspetti cinici del capitalismo di matrice protestante alla George Soros, dunque rari o unici consistenti antagonisti di chi intentasse dominare sulla Weltanschauung funzionale agli affari; e se i cristiani si lamentassero troppo per le discriminazioni e persecuzioni derivanti dalla sublimazione ONU della dichiarazione islamica dei diritti umani? Quelle azionate ad esempio dalla galassia dei jihadisti in Siria/Iraq o dal nucleare Pakistan alleato Usa? Basterebbe criminalizzarli accusandoli che anche i cattolici e i cristiani orientali violerebbero i diritti umani, ad esempio perché alimenterebbero l’omofobia negando ai gay il diritto di affittare uteri per procurarsi cuccioli d’uomo].