Newsletter 2018.05 al gruppo di mini rassegna stampa per amici.org
Ogni circa 30 giorni estrapolo per amici, con filtro sui diritti umani, alcuni degli articoli che commento nel corso del mese attingendo da varie fonti informative (tra le quali Avvenire, Asia news, il Sussidiario, La Stampa, Vita Trentina, Corriere, Repubblica, ...); se tu desiderassi ricevere tale newsletter via email, potresti farmi richiesta di iscrizione nella mailing list e poi eventualmente revocarla (qui come fare)
[Pagina senza pretese di esaustività o imparzialità, modificata 21/03/2021; col colore grigio distinguo i miei commenti rispetto al testo attinto da altri]
Pagine correlate: il cinismo dei potenti devoti di Marte e della dea pecunia millanta difesa dei diritti individuali di prestanti, ma in silenzio complice davanti alle stragi del popolo fragile schiavizzato in darwinismo sociale
I diritti umani, soprattutto delle persone meno abbienti, possono essere compromessi anche da un debito pubblico sconsiderato rispetto alla effettiva capacità di rimborsarlo.
Scusami se ti paresse esagerato correlare una questione contabile al grave problema della lesione dei diritti umani che affligge il mondo, ma non riesco a trattenermi dal parare l’inganno di chi blatera sul debito pubblico prospettandone ulteriore aumento sulle spalle dei posteri o facile cancellazione: dovrebbe bastare il caso Argentina per dimostrare quanto il debito pubblico non sia un’invenzione e quanto danno generazionale possa fare un indebitamento sconsiderato: quello stato, dopo aver cancellato il suo debito buggerando tanti risparmiatori anche italiani, ora lo sta ricreando con tassi al 40% e inflazione galloppante.
Per contro, ormai anche i meno esperti in finanza hanno capito che il grande debito pubblico del Giappone non costituisce un problema perché è per oltre il 90% in mano ai cittadini giapponesi, mentre quello italiano è per oltre 1/3 in mano a stranieri (fondi, assicurazioni e banche straniere) che possono ricattarci con aumento dello spread ad ogni minimo accenno alla nostra propensione ad aumentarlo senza parimente aumentare la nostra capacità di rimborsarlo.
C’è chi sostiene la facile cancellabilità del debito pubblico, ricordando che nel 2005 è stato cancellato quello di 18 Paesi in via di sviluppo, per decisione del G8 in accordo con Banca mondiale e FMI (Benin, Bolivia, Burkina Faso, Etiopia, Ghana, Guyana, Honduras, Madagascar, Mali, Mauritania, Mozambico, Nicaragua, Niger, Rwanda, Senegal, Tanzania, Uganda e Zambia): gli ricorderei che si trattava di aiutare l’emersione da grave sottosviluppo e che in 6 casi su 18 (in grassetto) erano Paesi del CFA, il franco delle colonie francesi africane (Colonies françaises d'Afrique)]
Basterebbe l’immane latrocinio generazionale (vedi disoccupazione dei giovani e loro misere prospettive di pensione rispetto agli attuali over65) creato col debito pubblico italiano a dimostrare quanto male possa fare l’indebitamento sconsiderato (sconsiderato = quello assunto verso prestatori stranieri in supero della nostra capacità di restituzione), indebitamento talvolta favorito dal prestatore non solo per massimizzare i guadagni a tassi elevati, ma anche per condizionare libertà, autonomia e dignità del debitore: l’induzione del debito è uno degli strumenti più efficaci e abusati da chi mira a raggiungere i suoi obiettivi più con la dissuasione (ricatto) che con la persuasione: vedi la potenza ricattatoria degli usurai.
Il vertiginoso aumento del debito italiano è montato in poco più di 20 anni tra il 1970 e il 1993 (il rapporto debito/pil è schizzato dal 60% al 120%): verrebbe da chiedersi se gli gnomi dei petroldollari non l’abbiano scoraggiato proprio per tenerci di più in pugno con il loro ricatto finanziario oltre che per accontentare-rabbonire (con le pensioni baby e altri privilegi) la pubblica dipendenza sempre più affollata di rossi sessantottini in epoca di guerra fredda.
Anche altri stati europei in quegli anni avevano una raccolta di contributi pensionistici molto superiore al pagamento delle pensioni correnti, ma hanno usato quel surplus per creare fondi in previsione delle attuali vacche magre (ora abbiamo troppi pensionati rispetto ai contribuenti) mentre noi abbiamo sperperato mandando in pensione gente a 40 anni di età, facendo promozioni facili a ridosso della pensione così da quasi raddoppiarla quando era rapportata agli ultimi stipendi, usando i contributi per pagare la cassa integrazione e creando quella sfiducia nello stato/lira che incentivava l’evasione, l’esportazione di capitali, le svalutazioni.
Non cadiamo nell’inganno degli illusionisti: quegli errori sul debito pubblico sconsiderato si possono sanare non con tratti di penna, ma solo in due maniere principali:
1. recuperando le ingiustizie generazionali più colossali (ad esempio i vitalizi, le superbaby, i privilegi, enti inutili e spese non necessarie) con una oculata spending review: si può fare anche rapidamente
2. aumentando il pil a parità di debito: richiede molto più tempo, risorse, organizzazione, inventiva.
Nel frattempo confidiamo sulla saggezza dei nostri amministratori, che sappia valorizzare il già tanto di buono fatto o tentato nelle suddette direzioni, e sappia riformare anche sfidando i “diritti che sono stati acquisiti” in latrocinio generazionale, se è vero che la legge deve essere uguale per tutti.
È certo che se, rispetto a qualche decennio fa, i diritti umani dei meno abbienti soffrono assai in Grecia, Argentina, Venezuela, ..., ciò non è imputabile solo ad errori di debito pubblico (è certo ad esempio il danno derivante dalla speculazione internazionale che si avventa cinicamente, modo Soros, sugli stati sconsideratamente indebitati), ma è altrettanto certo che una non poca responsabilità sta all’interno di quegli stessi stati, con errori commessi sia dagli amministratori sia dai cittadini che ne hanno approfittato, lasciando ai posteri pagarne le conseguenze.
→Newsletters segnalate nei mesi e negli anni precedenti