ESSERE LIBERI DI SCEGLIERE IL BENE

 

GESTI – SEGNI

Prendere due alberelli – anche secchi –  fare in modo che stiano in piedi

Durante la riflessione sul testo di genesi e sulla storia, far scrivere su cartoncino/foglio a forma di frutta (mela – pera…) che vanno bucati e muniti di filo per poterli appendere

1) cosa è bene per me (gesti concreti – azioni – riflessioni – riferimenti anche a cose che succedono attorno a me, vicino e lontano, ma anche dentro ciascuno;

2) che cos’è il male per me (stessa cosa come sopra)

Possono essere parole o brevi frasi. Serviranno durante l’eucarestia.

Qui di seguito ne riporto alcune adatte a ragazzi/giovani, come esempio da cui partire, ma attenzione a non influenzarli troppo. Potrebbero essere un ripiego se la riflessione non ‘prende il largo’.

 

Avere un linguaggio corretto

Usare gesti di amicizia e di pace

Esprimere la propria idea

Ascoltare le idee degli altri

Darsi da fare per gli altri

Imitare comportamenti corretti

Fare gesti di bontà

Fare solo ciò che è bene per me

E per gli altri

Cercare di superare le paure

Accogliere i doni di dio e

Metterli in gioco

Impegnarsi per fare sempre il proprio dovere al meglio

Cercare di correggere i propri difetti

Saper scegliere il bene anche quando è faticoso

Essere sempre onesti

Cercare il confronto

Essere generosi

Usare bene il proprio

Tempo

Accostarsi con amicizia anche a chi è straniero o in difficoltà

Usare parolacce o bestemmie

Offendere gli altri

Giudicare gli altri prima di averli conosciuti

Prendere le

Cose senza chiedere

Fumare

Fare sempre quel che abbiamo voglia

Non trattare con cura e attenzione la propria persona

Vivere pensando solo a se’ stessi

Far del male agli altri

Farsi trascinare da quel che dicono o fanno gli altri

Imporre la propria idea

Litigare

Essere egoisti

Credere alla pubblicità senza valutare con obiettività

Voler essere sempre alla moda

Lasciarsi tentare dalle ricchezze e dal potere

Avere paura

Fare gestacci

Imbrogliare gli altri

Ascoltare chi ci consiglia per il nostro bene

Ammettere i propri errori

Con gentilezza saper dire agli altri quando sbagliano

 

DURANTE L’EUCARESTIA: SUGGERIMENTI

1) La richiesta di perdono: i ragazzi appendono i frutti del male, dicendo ad alta voce quello che è scritto sopra. Finito si chiede perdono a nome personale e comunitario del male diffuso dentro e attorno a noi

2) alla comunione invece portare all’altare i frutti belli della nostra vita e ringraziare con una preghiera o un canto

 

 

GENESI 2, 15-17, 3, 1-13.

15Il Signore Dio prese l'uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse.
16Il Signore Dio diede questo comando all'uomo: «Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, 17ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, nel giorno in cui tu ne mangerai, certamente dovrai morire».

3

1Il serpente era il più astuto di tutti gli animali selvatici che Dio aveva fatto e disse alla donna: «È vero che Dio ha detto: «Non dovete mangiare di alcun albero del giardino»?». 2Rispose la donna al serpente: «Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, 3ma del frutto dell'albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: «Non dovete mangiarne e non lo dovete toccare, altrimenti morirete»». 4Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! 5Anzi, Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male». 6Allora la donna vide che l'albero era buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch'egli ne mangiò. 7Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e conobbero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture.
8Poi udirono il rumore dei passi del Signore Dio che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno, e l'uomo, con sua moglie, si nascose dalla presenza del Signore Dio, in mezzo agli alberi del giardino. 9Ma il Signore Dio chiamò l'uomo e gli disse: «Dove sei?». 10Rispose: «Ho udito la tua voce nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto». 11Riprese: «Chi ti ha fatto sapere che sei nudo? Hai forse mangiato dell'albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?». 12Rispose l'uomo: «La donna che tu mi hai posto accanto mi ha dato dell'albero e io ne ho mangiato». 13Il Signore Dio disse alla donna: «Che hai fatto?». Rispose la donna: «Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato».

 

Per comprendere cosa significa l'Albero della Conoscenza del Bene e del Male bisogna considerare anzitutto l'altro albero presente nel giardino, l'Albero della Vita: quest'albero è in rapporto col dilemma "vita o morte"; poterne usufruire significa per Adamo ed Eva vivere, altrimenti morire. In altre parole, la vita dell'uomo dipende anche da un suo atteggiamento consapevole e responsabile, dall'impiego della sua libertà.

L'Albero della Conoscenza a fianco dell'Albero della Vita è un riferimento all'uso della libertà umana, è l'ago della bilancia della riuscita del destino dell'uomo. Come bisogna comportarsi in modo da realizzare pienamente la propria vita evitando le insidie della morte?

L'autore del racconto sa, con tutta la tradizione biblica, che la vita è un dono di Dio. Essa allora può dirsi riuscita se condotta alla diretta dipendenza di Dio, avendo ben chiaro e presente ciò che la sua Sapienza creatrice ha stabilito come costitutivo del bene e del male dell'uomo. L’Albero della Conoscenza del Bene e del Male ha il significato di insegnare come si vive alle dipendenze di Dio per ottenere e raggiungere la piena realizzazione della propria esistenza.

Conoscere

L'espressione conoscenza del bene e del male è un'espressione complessa, il cui senso va compreso alla luce degli altri testi simili dell'Antico Testamento.

Per comprendere il termine conoscenza bisogna osservare che nel linguaggio biblico il "conoscere" non è semplicemente un'attività dell'intelligenza, ma è un conoscere esperienziale che coinvolge tutta l' esistenza dell'uomo. Anche il rapporto coniugale è fatto equivalere a una "conoscenza" (Gen 4,1.25) .

Nella letteratura sapienziale la conoscenza equivale al discernimento: esso supera la nozione delle cose per estendersi al loro valore. In altre parole ‘discernere’ non significa solo distinguere, riconoscere qualcosa, ma piuttosto ‘dare valore’ alle cose, ai fatti che scorrono davanti ai nostri occhi. Essere in grado scegliere in base al valore che attribuisco a quella realtà, e quindi agire di conseguenza. Comprendere che il valore che assegno non dipende da me, o solo da me, ma rientra in un disegno più grande e dipende soprattutto da chi ha dato valore a me, mi ha dato fiducia, nonostante i miei limiti. Ecco, significa riconoscere anche i limiti, e quindi non reputarsi infallibili o autonomi. Liberi di scegliere dento un disegno che rispetta me, l’altro, le cose che ho e quelle che non mi appartengono.

 

RACCONTI

Io sono a disposizione: chi mi vuole?

Ero giovane e mi sentivo forte. Quella mattina di primavera uscii di casa e gridai: ”Io sono a disposizione di chi mi vuole. Chi mi prende?”. Mi lanciai sulla strada selciata. Sul suo cocchio, con la spada in mano e seguito da mille guerrieri, passava il Re. ”Ti prendo io al mio servizio”, disse fermando il corteo. ”E in compenso ti metterò a parte della mia potenza”. Ma io della sua potenza non sapevo che farmene. E lo lasciai andare. “Io sono a disposizione di tutti. Chi mi vuole?”. Nel pomeriggio assolato, un vecchio pensieroso mi fermò, e disse: ”Ti assumo io, per i mie affari. E ti compenserò a suon di rupie sonanti”. E cominciò a snocciolarmi le sue monete d’oro. Ma io dei suoi quattrini non sapevo che farmene. E mi voltai dall’altra parte. La sera arrivai nei pressi di un casolare. Si affacciò una graziosa fanciulla e mi disse: ”Ti prendo io e ti compenserò con il mio sorriso”. Io rimasi perplesso. Quanto dura un sorriso? Frattanto quello si spense e la fanciulla dileguò nell’ombra. Passai la notte disteso sull’erba, e la mattina ero bagnato dalla rugiada. ”Io sono a disposizione: chi mi vuole?”. Il sole scintillava già sulla sabbia, quando scorsi un bambino che, seduto sulla spiaggia, giocava con tre conchiglie. Al vedermi alzò la testa e sorrise, come se mi riconoscesse. “Ti predo io”, disse, “e in cambio non ti darò niente”. Accettai il contratto e cominciai a giocare con lui. Alla gente che passava e chiedeva di me, rispondevo: ”Non posso, sono impegnato”. E da quel giorno mi sentii un uomo libero. (R.Tagore)

Solo la gratuità porta alla libertà, dice questo racconto. E allora bisogna lavorare non solo per vivere, ma anche per dare qualcosa agli altri. Nel mondo ci sono tantissimi esempi di dedicazione gratuita ma purtroppo non fanno notizia.

Una storia per noi

Un albero verde, alto e maestoso era orgoglioso della sua bellezza: ogni giorno se ne vantava e guardava con un po’ di superiorità gli altri alberi che non erano riusciti a diventare come lui …

L’albero era vicino ad un fiume, ma non aveva mai capito che l’acqua del fiume aveva alimentato segretamente le sue radici … E il sole: non aveva mai riflettuto che in quella posizione riusciva a prendere più luce e calore di tanti altri…

Un giorno tre giovani talpe “tutto pepe” incominciarono a scavare per divertirsi un po’ lì vicino al fiume… Un colpo una, un po’ di terra un’altra, vediamo chi va più profondo… Le talpe si lasciarono prendere dall’entusiasmo e fecero lunghe gallerie nel prato tra il fiume e le radici e l’acqua non arrivò più come prima.

L’albero grande e bello ingialliva e guardava con invidia gli altri che intorno a lui continuavano a crescere rigogliosi …

Fu l’erba del campo a convincere le talpe a non scavare più vicino alle radici della pianta: con la sua ombra tutti stavano meglio… L’albero riprese a germogliare, tutto contento, ma non si vantò più. Una cosa aveva capito: se era diventato così, era grazie all’aiuto di tanti e da quel giorno imparò ad offrire volentieri a tutti la sua ombra.

Sempre la nostra storia è anche la storia degli altri: volti, mani, parole, attenzioni, decisioni che, intrecciandosi ci hanno costruito e ci hanno permesso di essere ciò che siamo …

Liberi da

Leggiamo la storia: ALESSANDRO E IL TOPO MECCANICO (da “Tutte storie” di Bruno Ferrero)

«Aiuto, aiuto, un topo!». Un grido, uno schianto, e tazze, piattini, cucchiai volavano in tutte le direzioni. Col cuore in gola, Alessandro corse a rifugiarsi nella sua tana. Alessandro non voleva che poche briciole. Ma ogni volta che lo vedevano c'era un gran trambusto. Chi gridava aiuto, chi lo inseguiva con la scopa. Un giorno che era solo in casa, Alessandro udì uno squittìo nella camera di Gisella. Piano piano si avvicinò e cosa vide? Un altro topo. Ma non un topo comune come lui. Al posto delle zampine aveva due rotelle e nella schiena aveva una chiave di ferro.

"Chi sei?», chiese Alessandro.

"Sono Pippo, il topo meccanico; il giocattolo preferito di Gisella. Mi danno la carica per farmi correre in tondo, mi fanno le coccole, e di notte dormo su un morbido cuscino fra la bambola e l'orsacchiotto. Tutti mi vogliono un gran bene! ».

"A me nessuno vuole bene», disse Alessandro tristemente.

Ma era felice di aver trovato un amico.

"Andiamo in cucina a cercar briciole! », disse, pieno di entusiasmo.

"Oh, io non posso», disse Pippo. "lo posso muovermi solamente quando mi danno la carica. Ma non importa, tutti mi amano».

Anche Alessandro incominciò a voler bene a Pippo e spesso lo andava a trovare nella stanza di Gisella. Gli raccontava le sue avventure con le scope, le trappole e i piatti volanti. Pippo invece parlava dell'orsacchiotto, del pinguino di pezza e soprattutto di Gisella. I due amici trascorrevano molte ore felici. Ma quando era solo, nel buio della sua tana, Alessandro pensava a Pippo con crescente invidia. "Ah! », sospirava, "Vorrei essere anch'io un topo meccanico ed essere coccolato ed amato». Un giorno Pippo raccontò una strana storia. "Ho sentito dire», mormorò misteriosamente, "che nel giardino, alla fine del sentiero, vicino al cespuglio di more, vive una lucertola magica che può trasformare un animale in un altro».

"Credi», disse Alessandro, "che potrebbe cambiarmi in un topo meccanico?».

Quel pomeriggio stesso Alessandro andò in giardino e corse alla fine del sentiero.

«Lucertola, lucertola», sussurrò.

Improvvisamente davanti a lui apparve una grossa lucertola variopinta.

«È vero che tu puoi trasformarmi in un topo meccanico?», chiese Alessandro.

«Quando la luna è tonda», disse la lucertola, «portami un sassolino viola».

Per giorni e giorni Alessandro frugò ogni angolo del giardino in cerca di un sassolino viola. Invano. Ne trovò di gialli, di blu, di verdi, ma neppure l'ombra di un sassolino viola. Alla fine, stanco e affamato, tornò a casa. In un angolo della dispensa trovò una scatola piena di vecchi giocattoli, e lì, fra cubetti e bambole rotte, c'era Pippo.

«Cosa è successo?», chiese Alessandro. Pippo gli raccontò la triste storia. C'era stato il compleanno di Gisella e per la festa ognuno aveva portato un regalo. «Il giorno dopo», Pippo sospirò tristemente, «molti dei vecchi giocattoli vennero buttati in questa scatola. Saremo tutti gettati via».

Alessandro era quasi in lacrime. «Povero, povero Pippo!» pensava. Ma in quel momento qualche cosa attirò la sua attenzione. Possibile? Sì, sì davvero! Era un sassolino viola.

Tutto emozionato, con il prezioso sassolino stretto tra le zampine, corse nel giardino. Era luna piena. Senza fiato Alessandro si fermò vicino alle more.

«Lucertola, lucertola del cespuglio», chiamò con il cuore in gola. Ed ecco che tra le foglie apparve la lucertola. Con voce misteriosa disse: «La luna è tonda. Il sasso c'è. Chi vuoi essere? Dillo a me!».

“Io voglio essere ... ». Alessandro si fermò. Poi improvvisamente disse: «Lucertola, lucertola, potresti trasformare Pippo in un topolino come me?».

La lucertola abbassò le grosse palpebre. Ci fu un bagliore accecante. Poi tutto fu tranquillo. La lucertola era sparita, il sassolino viola anche. Alessandro corse verso casa. La scatola era lì, ma purtroppo era vuota. «Troppo tardi », egli pensò, e col cuore infranto ritornò alla sua tana.

Sentì uno squittio. Piano piano si avvicinò e vide la coda di un topolino.

«Chi sei?», chiese Alessandro. «Mi chiamo Pippo!» disse il topo.

«Pippo! », gridò Alessandro. «La lucertola ... Evviva la lucertola!».

I due amici si abbracciarono colmi di gioia. Poi corsero al sentiero del giardino. E lì danzarono fino all'alba.

PICCOLA FAVOLA SULLA LIBERTÀ

Di GM Willo

Un corvo, nero come le notti d’inverno, osò affacciarsi alla finestra di un negozio che vendeva uccelli. Era la fame che lo aveva spinto così vicino agli affari degli uomini. Per un po’ se ne stette ad osservare i grassi pennuti che si sbafavano, al riparo delle loro gabbie, ciotole stracolme di semi, semini e grani prelibati. Un pappagallo con le piume verdi come il muschio e una cresta porporina, vide il corvo rinsecchito che lo guardava con un occhio spiritato (perché gliene mancava uno), e per poco non gli andò di traverso un grosso chicco di granturco. Passata la paura, grazie soprattutto alle sbarre della gabbia che lo proteggevano, si schiarì la voce e disse: – Oh, guardate quel povero uccello. Certo, è libero di volare, di planare e di gracchiare, ma si vola, si plana e si gracchia male quando la fame ci attanaglia la pancia!

Un altro pappagallo, con piume lunghe e rosse come i tramonti settembrini, aggiunse: – Eh già! Se ne affacciano tanti come te, pochi corvi a dire il vero, ma tanti piccioni e anche qualche gabbiano. Ve ne state tutti lassù alla finestra a guardarci mangiare, invidiando la nostra fortuna. La disperazione vi si può leggere sul becco! Noi qui all’asciutto, con tutto questo ben di dio, ed il gentile zio Fernando che ci pulisce la gabbia ogni due giorni. Una vita di lusso…
Da un’altra gabbia si alzò la voce cinguettante di una canarina, tra tutte la più vanitosa: – E poi guarda le nostre piume come sono lisce e robuste, merito del cibo che ci danno e di questa bella stanza temperata, non come voi, poverini, che vi tocca a mangiare quel che trovate per terra e a starvene al riparo sotto le grondaie e sugli alberi.

Poi fu la volta di un signor usignolo, tutto impettito perché si credeva un uccello importante. – Inoltre, se permettete, qui nessuno litiga mai. Ognuno ha la sua gabbia ed è contento. Magari a volte succedono dei battibecchi, ma nessuno si fa male. Invece mi hanno detto che là fuori ve le date di santa ragione, anche per un misero tocco di pane. Che creature sfortunate!
Il corvo, che se ne stava appollaiato alla finestra con la pancia che gli brontolava dalla fame, non ne poteva più di tutti qui petulanti cinguettii. Gracchiò qualcosa in corvesco antico che nessuno capì e prese il volo. Mentre raggiungeva il suo albero preferito, ripensò a tutte le cose che quegli uccelli nelle gabbie gli avevano detto. Per un momento vacillò, complice la disperazione arrecata dalla fame, e incominciò a dubitare della grandezza della libertà. Eppure lui, forse più di ogni altro della sua specie, era un vero spirito libero. Stava pensando col suo cervello o con la sua pancia?
Poi finalmente raggiunse il suo albero, una grande quercia che dominava la città. Si appollaiò sul ramo più alto e si guardò in giro. “Eccolo!” e si buttò in picchiata verso il verme che si era affacciato dal terreno, piccolo ma abbastanza gustoso da far zittire per un po’ la pancia brontolona e far tornare il buon umore al nostro amico corvo.