LETTERA DI 63 teologi italiani (maggio 1989) contestatori per ignorare o ridimensionare l'autorità del Pontefice
Sottoscritta da 63 teologi e studiosi, la lettera è apparsa in “il Regno-Attualità” n. 10 del 15 maggio 1989: i punti su cui i contestatori fanno leva per l'obiettivo in titolo sono così sintetizzabili <paginecattoliche>:
- il Concilio Vaticano II costituirebbe una “svolta”, radicale e irreversibile, nella “comprensione della fede ecclesiale”;
- il Deposito della Fede custodito dalla Sede Apostolica non avrebbe valore in sé, né valore assoluto, ma piuttosto lo otterrebbe per la sua “connotazione pastorale”, la sola che renderebbe possibile “l'interpretazione fedele della verità dentro l'esistenza storica della comunità”;
- la Santa Sede si farebbe “condizionare dalla logica mondana”, da una “mentalità di privilegio”, trascurando lo “stile di Cristo”;
- la natura gerarchica della Chiesa Visibile dovrebbe lasciare il posto a una “concezione della chiesa come comunione di chiese”;
- la funzione magisteriale del primato petrino non escluderebbe la “varietà dei modi di intendere e di vivere la fede che lo Spirito suscita nelle diverse comunità”;
- la funzione del Magistero Pontificio “nella chiesa delle origini” non era “riducibile alla funzione di guida della comunità” e, pertanto, occorre ripensare tale funzione;
- non si dovrebbe parlare di infallibilità del Magistero, anche di quello ordinario universale, ma della sua funzione “pastorale”;
- la liceità dei pronunciamenti del Magistero in materia di etica sarebbe “certamente necessario approfondire”;
- il compito dei teologi non si svolge solo “divulgando l'insegnamento del magistero e approfondendo le ragioni che ne giustificano le prese di posizione” ma, piuttosto, “quando raccolgono e propongono le domande nuove [...] o quando percorrono [...] sentieri inesplorati”.
Traggo il TESTO da <viandanti>: CONTINUA IN SEGUITO DEL SOMMARIO
[Pagina senza pretese di esaustività o imparzialità, modificata 01/04/2024; col colore grigio distinguo i miei commenti rispetto al testo attinto da altri]
Pagine correlate: Scuola di Bologna, Teologi del dissenso, Leitmotiv ed ermeneutica di rottura del CV2°, leninismo e cristianesimo impazzito; protestantizzazione; Guida petrina
↑2013.04.04 Paolo Prodi uno dei firmatari: <repubblica 04/04/2013>: Le primarie dei massoni sotto le logge di Siena: si affollano "papabili" e polemiche, non sempre di alto profilo morale: covano sotto le insegne di quella che il professor Paolo Prodi, fratello dell' ex presidente del Consiglio, ha definito «una delle più importanti agenzie produttrici di etica nella storia dell' Occidente». Solo etica e non politica? [CzzC: e non anche affari/dea pecunia e non anche influsso su Weltanschauung ... ?].
↑2005.03.28 trassi da Paginecattoliche (TotusTuus) Il dissenso verso la Sede Apostolica in Italia. L’Istruzione sulla vocazione ecclesiale del teologo, emanata il 24 maggio 1990 dalla Congregazione per la Dottrina della Fede con l’approvazione del Sommo Pontefice Giovanni Paolo II ([1]), venne pubblicata negli anni di massima contestazione e dissenso verso il Magistero. [CzzC: continua qui con riferimenti anche a Hans Kung, Karl Rahner, Pax Christi, P. David Maria Turoldo Documento dei sessantatre firmato anche da Enzo Bianchi, Alberto Melloni e Paolo Prodi; citazioni di Adista]
↑1989.05.15 La lettera dei 63 teologi e studiosi (tra i firmatari anche Paolo Prodi) appare in “il Regno-Attualità” n. 10 di oggi: i punti su cui i contestatori fanno leva per ignorare o ridimensionare l'autorità del Pontefice sono così sintetizzabili ... continua qui notando quante firme dalla scuola di Bologna
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Traggo il TESTO da <viandanti>: Lettera ai cristiani. Oggi nella Chiesa…
Questa lettera vorrebbe essere un invito ad una riflessione pacata tra fratelli nella fede, i quali vogliono vivere con coerenza la loro vocazione cristiana. Recentemente l’opinione pubblica è stata messa a rumore da alcune prese di posizione nelle quali si esprime disagio per determinati comportamenti dell’autorità centrale della Chiesa nell’ambito dell’insegnamento, in quello della disciplina, ed in quello istituzionale. Alcuni infatti, e non sono pochi, hanno l’impressione che la Chiesa cattolica sia percorsa da forti spinte regressive. In questo clima ci sembra doveroso proporre alcune considerazioni brevi ed essenziali. Esse si propongono di abbandonare il piano della polemica che, spesso, si fissa sugli aspetti più appariscenti. Il vero rischio invece è che molti non scorgano cosa sia veramente in gioco.
Il mondo sta attraversando una trasformazione radicale e veloce negli assetti politici, nel mutamento del costume, e nei riferimenti etici fondamentali. Anche la situazione dei credenti ne risulta modificata. È necessario l’impegno di tutti per affrontare creativamente i problemi che insorgono. Tanto più che quindi si impone che siano tenuti presenti alcuni riferimenti determinanti per le scelte che incombono sulle comunità ecclesiali e sui singoli cristiani.
1. In primo
luogo si tratta di sapere se l’evento del Concilio Vaticano II
debba costituire un effettivo punto di riferimento dottrinale nell’affrontare i
problemi della missione e dell’evangelizzazione. Da parte di alcuni si tende di
fatto a sminuire l’importanza di questo evento qualificandolo come “pastorale”
e non dotato quindi della stessa autorità dottrinale degli altri concili
ecumenici. A nostro avviso così non si intende proprio il significato di quella
“svolta pastorale” che il concilio ha voluto introdurre nell’equilibrio globale
della comprensione della fede ecclesiale. La stessa dottrina, in questa
qualificazione pastorale, assume un peso ed un volto che sono più adeguati alla
natura della verità cristiana. La connotazione pastorale infatti è intrinseca
alla dimensione dottrinale del Cristianesimo. È essa infatti che rende
possibile l’interpretazione fedele della verità dentro l’esistenza storica
della comunità ecclesiale. E la verità cristiana è la verità che Dio ci ha
consegnato per la nostra salvezza. È vero quindi che l’equilibrio dottrinale
del Vaticano II differisce da quello di una certa tradizione teologica
post-tridentina che a volte aveva segnato anche i pronunciamenti del magistero.
Ma questo è avvenuto non per una minore precisione della dottrina stessa, ma
per una penetrazione di essa più conforme alle esigenze della verità cristiana.
Insistere sul riferimento al Vaticano II non può certo stare a significare che
esso debba essere staccato dall’insieme della tradizione della fede e ancor
meno che esso possa essere ripetuto in maniera letterale. Anche nei suoi
confronti, come nei confronti di tutta la tradizione, si impone una
interpretazione corretta che ne colga il nucleo ispiratore. Ma ricorrere a
passati equilibri dottrinali significa ignorare proprio questo nucleo. Ed è qui
che oggi si dividono gli spiriti.
2. In
particolare riteniamo che debba restare come ispirazione primaria della
missione ecclesiale quella che è presente nella Costituzione Lumen Gentium, 8:
“Come Cristo ha compiuto la redenzione attraverso la povertà e le persecuzioni,
così pure la chiesa è chiamata a prendere la stessa via per comunicare agli
uomini i frutti della salvezza…“. Ci sembra che invece si tenda a dimenticare
come, non solo a livello individuale, ma nella sua strutturazione
istituzionale, nei suoi rapporti con gli Stati, nello stile della sua
predicazione, la Chiesa non debba farsi condizionare dalla logica mondana, ma
dallo stile del Cristo, mite ed umile di cuore, povero, venuto per salvare la
pecora perduta. La mentalità di privilegio, anche se tentazione e insidia
costante, non può essere l’ispiratrice del cammino della Chiesa che vuole
essere sacramento di unione con Dio e di unità tra i popoli.
Sia nell’annuncio al mondo che nel cammino che deve portare alla riunione delle
chiese, è condizione fondamentale di obbedienza al Signore la conversione delle
nostre comunità e della Chiesa tutta a questo stile del Cristo a cui richiamava
il Vaticano II. Solo così del resto, le chiese, e tutti noi in esse, avremo
occhi liberi e puri per poter cogliere tutta la grazia che Dio prepara ai
popoli nel momento attuale della storia.
3. Un punto
qualificante dell’ecclesiologia conciliare, anche se delicatissimo, è la
concezione della Chiesa come comunione di chiese. Questo comporterà, non senza
traumi ma inevitabilmente, un mutamento di quell’equilibrio istituzionale che
nella chiesa latina è venuto solidificandosi soprattutto nel II millennio della
sua storia. Si inserisce qui la discussione attuale sullo statuto delle
conferenze episcopali e sulle nomine dei vescovi. Siamo consapevoli che non
esistono soluzioni facili perché l’unità della fede e della “grande disciplina”
divenga dono operante della pluralità della comunione. Però riteniamo che la
Chiesa non possa rinunciare a priori, per timore dei problemi che ne seguiranno
per la sua unità, alla varietà dei modi di intendere e di vivere la fede che lo
Spirito suscita nelle diverse comunità e nella stessa guida pastorale dei
vescovi.
La storia della Chiesa, del resto, conosce periodi forse ancora più caldi di
quello attuale. Basti pensare agli stessi inizi della Chiesa, al conflitto tra
Paolo e Giacomo, o ai tempi di Cipriano e di Papa Stefano, di Atanasio e di
Basilio, di Cirillo e di Giovanni Crisostomo, per rendersi conto che i grandi
conflitti nella vita della Chiesa sono stati superati solo lentamente e con
sofferenze di tutti. Ma Questo vuol dire che dobbiamo cercare di imitare la
magnanimità del Signore il quale “non ritarda…, come alcuni ritengono, ma sente
in grande” (2Pt.), che dobbiamo anche sapere ribadire con forza quello che ci
sembra meglio interpretare le esigenze del vangelo, ma nel rispetto della
comunione sempre più grande, nell’obbedienza di tutti a Cristo, Signore della
Chiesa.
4. Uno degli
elementi che nella concezione conciliare della Chiesa è entrato in una fase di
“riaggiustamento” è senz’altro la comprensione del “magistero”. Non si può
ignorare questo fatto. Del resto la storia della teologia ci insegna come lo
stesso termine di “magistero” abbia subito forti variazioni semantiche. Non si
può inoltre negare che nella Chiesa delle origini esistesse una funzione
dell’insegnamento che non è riducibile alla funzione di guida delle comunità. A
noi non sembra che qualificare come “pastorale” il magistero implichi un
attentato alla sua dignità o necessità, che anzi ne esalta il compito di
presidenza nella comunione della fede. Ricordiamo le parole di Paolo: “Noi non
intendiamo far da padroni sulla vostra fede; siamo invece i collaboratori della
vostra gioia, perché nella fede voi siete già saldi” (2 Cor.1,24).
Anche qui non abbiamo indicazioni facili per la soluzione delle questioni
attuali. Ma è certamente necessario approfondire il delicato problema della
estensione del magistero nel campo etico, in rapporto al cuore del messaggio
evangelico. Come è bene non dimenticare il richiamo del Vaticano II al rispetto
della “gerarchia delle verità”, per non appiattire tutto su di un unico e
medesimo livello. Lo stesso Vaticano II inoltre attribuisce la crescita nella
comprensione del messaggio cristiano non al solo “carisma certo della verità”
che si esprime nella predicazione dei vescovi, ma ancor prima nello studio e
nell’esperienza dei credenti (Dei Verbum 8). E questo non per stabilire priorità,
ma per sottolineare il comune convergere di tutti i differenti carismi e
servizi nella conoscenza della verità, ognuno secondo il dono ricevuto.
In questo contesto, nel riconoscimento del “carisma certo della verità” secondo i criteri che man mano la tradizione ecclesiale ha approfondito, non pensiamo che i teologi assolverebbero il loro compito semplicemente divulgando l’insegnamento del magistero e approfondendo le ragioni che ne giustificano le prese di posizione. Essi si pongono infatti al servizio della Chiesa anche quando raccolgono e propongono le domande nuove dell’intelligenza che scaturiscono dalle situazioni nuove che la fede attraversa, o quando percorrono assieme ai loro fratelli nella fede sentieri inesplorati sui quali pure si dovrà realizzare la fedeltà al Signore. Sempre in questo contesto diventa inoltre urgente il messaggio del Concilio agli “uomini di pensiero e di scienza”, proprio perché i mutamenti introdotti dalle possibilità nuove della scienza provochino sempre più l’approfondimento della fede, senza spirito di intolleranza, dentro e fuori della Chiesa.
Dovrebbe risultare chiaro, al termine di questa riflessione, essenziale e tuttavia limitata, bisognosa di ulteriori precisazioni e soprattutto di approfondimento come non abbiamo voluto dirimere le questioni aperte. Abbiamo soltanto cercato di indicare alcuni dei riferimenti che riteniamo essenziali perché la comune riflessione e la prassi dei credenti non regredisca a stadi di consapevolezza della fede che il Vaticano II ha permesso di superare. Ma soprattutto ci auguriamo che nel cammino dei prossimi anni sappiamo tutti ricercare quello che ci unisce, prima ancora di quello che ci divide. Anche questo fu un richiamo spesso ascoltato nell’ultimo Concilio, ad opera soprattutto di colui che lo volle, Giovanni XXIII.
Non è questo un giocare al ribasso o un misurare il minimo comune denominatore. Si tratta piuttosto di ritrovare con maggiore radicalità quell’unico fondamento su cui tutti siamo posti: Gesù Cristo nostro Signore.
I firmatari (63)
Attilio Agnoletto (Università Statale di Milano), Giuseppe Alberigo (Università di Bologna), Dario Antiseri (Università LUISS di Roma), Giuseppe Barbaccia (Università di Palermo), Giuseppe Barbaglio (Roma), Maria Cristina Bartolomei (Università di Milano), Giuseppe Battelli (Istituto per le Scienze Religiose Bologna), Fabio Bassi (Bruxelles), Edoardo Benvenuto (Università di Genova), Enzo Bianchi (Comunità di Bose), Bruna Bocchini (Università di Firenze), Giampiero Bof (Istituto Superiore di Scienze Religiose Urbino), Franco Bolgiani (Università di Torino), Gianantonio Borgonovo (Seminario arcivescovile di Venegono, Milano), Franco Giulio Brambilla (Seminario arcivescovile di Venegono, Milano), Remo Cacitti (Università di Milano), Pier Giorgio Camaiani (Università di Firenze), Giacomo Canobbio (Seminario di Cremona), Giovanni Cereti (Roma), Enrico Chiavacci (Studio teologico fiorentino), Settimio Cipriani (Facoltà teologica dell’Italia meridionale, Napoli), Tullio Citrini (Seminario arcivescovile di Venegono, Milano), Pasquale Colella (Università di Salerno), Franco Conigliano (Università di Palermo), Eugenio Costa (Centro Teologico di Torino), Carlo d’Adda (Università di Bologna), Mario Degli Innocenti (Istituto per le Scienze Religiose Bologna), Luigi Della Torre (Direttore di “Servizio della parola”, Roma), Roberto Dell’Oro (Seminario arcivescovile di Venegono, Milano), Severino Dianich (Studio Teologico Fiorentino), Achille Erba (Comunità San Dalmazzo, Torino), Rinaldo Fabris (Seminario di Udine), Giovanni Ferretti (Università di Macerata), Roberto Filippini (Studio teologico interdiocesano, Pisa), Alberto Gallas (Università del Sacro Cuore, Milano), Paolo Giannoni (Studio Teologico fiorentino), Rosino Gibellini (Direttore Editoriale Queriniana, Brescia), Réginald Grégoire (Università di Pavia), Giorgio Guala (Alessandria), Maurilio Guasco (Università di Torino), Giorgio Jossa (Università di Napoli), Siro Lombardini (Università di Torino), Italo Mancini (Università di Urbino), Luciano Martini (Università di Firenze), Alberto Melloni (Istituto per le Scienze Religiose Bologna), Andrea Milano (Università della Basilicata), Carlo Molari (Roma), Dalmazio Mongillo (Roma), Mauro Nicolosi (Istituto di scienze religiose di Monreale, Palermo), Flavio Pajer (Istituto di liturgia pastorale, Padova), Giannino Piana (Seminario di Novara), Paolo Prodi (Università di Bologna), Armido Rizzi (Centro S. Apollinare, Fiesole), Giuseppe Ruggieri (Studio teologico S. Paolo, Catania), Giuliano Sansonetti (Università di Ferrara), Luigi Sartori (Seminario maggiore, Padova), Cosimo Scordato (Facoltà teologica sicula, Palermo), Mario Serenthà (Seminario arcivescovile di Venegono, Milano), Massimo Toschi (Lucca), David Maria Turoldo (Priorato S. Egidio, Sotto il Monte), Maria Vingiani (Segretariato attività ecumeniche, Roma), Francesco Zanchini (Università abbruzzese, Teramo), Giuseppe Zarone (Università di Salerno).
L’adesione dei firmatari è a titolo personale; non intende né può coinvolgere le istituzioni rappresentate.